
Era il 1994 e stavo finalmente riuscendo a guardare una gara di F1 intera, con l’entusiasmo dei miei 14 anni, a casa di un mio compagno di scuola. Prima di allora non avevo mai avuto la possibilità di guardare le gare, a dire il vero avevo pochissime possibilità di guardare la TV, (ma non starò qui a spiegare il perchè, affari miei e brutti ricordi). Sentivo nella cronaca del pre gara una certa angoscia per la morte di un pilota, l’austriaco Roland Ratzenberger, ma a dire il vero non ci avevo dato peso perchè non capivo chi fosse e non lo conoscevo (era al debutto in F1 con la Simtek-Ford, ma io non è che ci capissi molto).
Ma quel primo giorno Maggio riservava un’altra tremenda sorte ad un mito, all’uomo che diede alla F1 tutto e che tutto si prese. Lo vidi in diretta e rimasi scioccato, allibito, vidi morire quell’uomo seduto su una poltrona in pelle marrone col mio amico che chiamava il padre per avvisarlo dell’incidente.
Poi ieri, ospite da amici a pranzo, chiedo di poter vedere la Moto2 e mi ritrovo davanti una scena scioccante. Pensavo ad un disastro alla prima staccata (che al contrario è filata via liscia), ma mai avrei pensato di vedere un pilota venire travolto da due moto all’uscita de curvone di Misano. Una volta visto il replay dell’incidente mi tornò in mente il corpo di Kato, rotolava nella stessa maniera e subito ho pensato al peggio.
Da quel primo maggio ad oggi io sono cambiato molto, anche io sono stato preso dalla febbre dei motori e sono diventato pilota. Certo, non sono Rossi, ma ho corso e vinto in alcuni trofei e ho gareggiato all’Isola di Man nel 2007; mi sono guadagnato sul campo quello che per me era un privilegio, ma molti mi hanno sempre considerato un pazzo incosciente per essere stato lassù. Invece no, perchè un pilota ha bisogno della sfida, perchè un pilota bada solo a se stesso. Fate attenzione perchè è sbagliato considerare “piloti” solo quelli che si vedono in TV; ce ne sono tantissimi altri che probabilmente non vinceranno mai e che nessuno considera, che sono piloti ugualmente anche se arrivano ultimi in tutte le gare. Sono piloti perchè si mettono in gioco e lottano sempre e comunque, perchè il traguardo e la classifica sono solamente la fine di una battaglia meravigliosa. Io vedo i piloti come guerrieri fieri e orgogliosi, che si battono anche se sanno di perdere sin dal principio.
Il povero Shoya era un guerriero, Kato e Senna anche, così come lo erano i vari piloti morti in Italia in questo 2010 in prove libere al Mugello e a Imola. Forse lo era anche quel povero ragazzino americano di soli 13 anni, età nella quale si è troppo inconsapevoli per essere obbligati a fare i “grandi” a tutti i costi. In questi ultimi anni hanno spacciato per dorato uno sport che invece è cruento, e che a fronte di un sacco di ragazzi che speravano di sfondare per approdare al mondiale il prima possibile si è preso la sua ricompensa (ricordo Olivieri 2 anni fa a Magione, ero presente) portandosi via dei bravi ragazzi che sognavano in grande o lasciando una cicatrice indelebile sul loro corpo.
Si scrivono e si dicono un sacco di banalità quando accadono delle tragedie, dalla TV i sapientoni le sparano grosse, si accusano, dicono la loro e pretendono di avere ragione a tutti i costi. La verità è un’altra: non ci sono colpe e nemmeno colpevoli perchè la caduta è stata davvero atipica. Ora come ora penso al povero DeAngelis, o al povero Redding, che si sentiranno in colpa quando in verità non ne avrebbero motivo….ma è umano.
La triste verità è che correre è meraviglioso, ma è pericoloso e si può morire; ma allora perchè correre e rischiare? Perchè è nella natura dei guerrieri. Io questa notte ho sognato di finire dritto a Glen Helen e mi sono svgliato in angoscia, come sapendo di aver rischiato la vita a correre quella gara ma la rifarei ancora, e ancora. Se potessi andrei alla North West, all’Ulster GP, a Macao pur sapendo che potrei non tornare a casa. Ma quando sali in moto e ti infili il casco, tutto il resto svanisce, dietro la lingua senti il sapore amaro dell’adrenalina e i tuoi sensi si acutizzano, perchè dentro di te sai che stai partendo per una battaglia.
Forse la cosa più sensata che ho sentito è anche la più banale di tutte: se ne è andato facendo ciò che amava…
Ci dimentichiamo della pericolosita di questo sport, perche, (fortunatamente) negli ultimi anni un po sono diminuiti e quindi non ci si pensa..
Pero ovviamente dai sapientoni, come sono citati qui sopra se ne sono sentite di tutti i colori ed in effetti si poteva anche evitare….
Pero hai ragione, l’unica cosa intelligente, per altro tirata fuori da Pedrosa, è che se ne è andato facendo quello che lui amava fare..era felice quando saliva in sella..se ne è andato a soli 19anni pero…certe volte il destino è impossibile da controllare……
Io lo chiamo coraggio, il coraggio di sfidare la morte direbbe qualcuno ai piloti, io dico invece il coraggio di sfidare se stessi, il coraggio di sentire i propri limiti, il coraggio di tirare fuori i propri meriti.
Il coraggio di vivere…di vivere una vita piena di emozioni.
Il coraggio di avere il coraggio di prendere una moto ed andare a sfidare il proprio destino.
Ecco, secondo me quel ragazzo giapponese nella sua vita ha avuto coraggio.
Hai colto nel segno Simona. E’ questo che volevo far capire nel mio piccolo articolo, ed è per questo che odio il tifo “contro” i piloti, proprio perchè dal primo all’ultimo rischiano tutti nella stessa maniera.