La maggior parte delle volte che proviamo ad immaginare un ingegnere progettista al lavoro, ci pare di scorgere un individuo immerso nei suoi calcoli e talvolta lontano dalla realtà, come una specie di alieno, una razza a parte che perfino qualche addetto ai lavori ritiene esclusivamente teorico e, tra le righe, anche un po’ ottuso nel non capire ciò che al pilota o al meccanico di turno serve davvero.
Ebbene, anche trascurando il fatto che tanti “esperti” in realtà non dispongono degli adeguati strumenti per trattare la materia con la serietà necessaria – ma non rendendosene conto ritengono di poter mettere becco dappertutto – tanti giornalisti si stupiscono quando, magari in qualche intervista, scoprono che il progettista è una persona brillante, per nulla legata a preconcetti e aperta alla discussione. Purché, sia ben chiaro, si proceda con la medesima onestà da entrambe le parti, al di fuori dei dogmi e delle semplicistiche apparenze.
Qualcuno arriva a scoprire che perfino i progettisti hanno un cuore e sono animati da sincera passione, spinta all’estremo da una inguaribile curiosità di capire e di sapere. Estremo che si manifesta nella formalizzazione di leggi fisiche e di concetti attraverso formule che la maggior parte dei praticoni non capisce, il più delle volte per pigrizia o per mancanza di elasticità mentale. Quei numeri che per tanti sono aridi, lo sarebbero anche per il progettista se lui non avesse sempre molto chiaro che essi non “sono” l’oggetto del suo lavoro ma lo “rappresentano” nel modo più sintetico possibile.
Non ci si innamora di una formula ma del concetto che essa rappresenta. Insomma, che ci crediate o meno, c’è emozione in quei numeri in quanto essi altro non sono che la codifica di una passione umana non diversa – ok, forse un filino estremizzata – da quella del semplice appassionato. Cambia il linguaggio, non l’argomento. Perché scrivo tutto questo? Perché come in ogni passione esistono dei contrasti emotivi.
Prendiamo la forcella: è un accrocco improponibile, strutturalmente inefficiente, pieno di difetti. Ma non riusciamo a farne a meno, un po’ come essere innamorati di un/a bastardo/a: non dovremmo, ma alla fine ci caschiamo. Non riusciamo proprio a farne a meno, e diventa un rapporto di amore/odio ricco di spunti vitali. Il progettista bestemmia fra sé e sé, continua a chiedersi perché cavolo l’abbiano inventata, la trova arcaica e anacronistica però nel frattempo la disegna e la calcola.
La forcella, dunque. Sterza, supporta la frenata, incassa le asperità e controlla l’assetto, quattro funzioni con due tubi scorrevoli. E appena tocchi qualcosa da una parte, immediatamente crei qualche scompenso dall’altra. Pare incredibile che alla fine si trovi un compromesso accettabile, e ancora resta da stabilire se l’inventore vada ringraziato o ghigliottinato. Procediamo con ordine e analizziamo separatamente le diverse funzioni.
Possiamo sempre immaginare un veicolo con forcella rigida e senza freno, tipo una vecchia bicicletta scassata: tre funzioni su quattro sono assenti, ma potremmo ancora utilizzarla, quindi la funzione principale è la sterzata. I primi veicoli a due ruote avevano l’asse di sterzo perfettamente verticale, con il punto di contatto della ruota anteriore coincidente con la proiezione a terra dell’asse di sterzo. Si sterzava, ma si cadeva moltissimo. Con l’esperienza abbiamo introdotto l’inclinazione dell’asse di sterzo e l’offset delle piastre (o le forcelle curve, come nelle bici), e la situazione è migliorata parecchio. Abbiamo imparato che la geometria di sterzo in una moto è fondamentale per la sua stabilità e la sua guidabilità, e in questo articolo cercheremo di spiegare perché una moto sta in piedi. Cominciamo.
La geometria di sterzo di una moto è caratterizzata da una serie di parametri collegati tra di loro quali incidenza di sterzo, offset, avancorsa etc., che lavorano in sinergia con le masse rotanti della ruota anteriore determinando un meccanismo di reazione dinamica che in un range sufficientemente ampio di condizioni riporta la motocicletta, staticamente instabile per costituzione, all’equilibrio. Facciamo un’indagine qualitativa.
La ruota anteriore si comporta come un giroscopio: appena la moto tende a cadere su un lato, la ruota anteriore reagisce sterzando dalla stessa parte della caduta. Succede questo: durante la caduta l’accelerazione di gravità genera una rotazione della moto sul suo asse longitudinale rispetto al punto di rotazione costituito dal contatto delle ruote sul terreno. Anche ogni punto del cerchio anteriore viene accelerato in questa rotazione: ma poiché la ruota gira, ogni elemento del cerchio tenderà a mantenere la velocità trasversale acquisita durante la rotazione dell’intera moto generando una sterzata.

Più in dettaglio: il punto più alto della ruota viene accelerato verso il lato della caduta. Un attimo dopo, questo “pezzo di cerchio” per via della rotazione della ruota si troverà più avanti e più in basso, ma tenterà di mantenere la velocità laterale acquisita: siccome però la sua nuova posizione imporrebbe una velocità di caduta laterale inferiore, al pezzo di cerchio non resta altra scelta che “tirare” la parte anteriore della ruota deviandola verso il lato della caduta. La forza – o meglio, il momento – con la quale la ruota tende a sterzare dipenderà dal suo peso, dal suo raggio e dalla sua velocità. Paradossalmente l’angolo di sterzata “di reazione” è maggiore, sia pure con un momento di valore inferiore, quando la ruota gira più lenta. Se qualcuno vorrà delucidazioni su questo aspetto vi avviso: dovrò parlare della composizione di diverse velocità vettoriali, quindi pensateci bene prima di farlo.

Torniamo alla moto che cade. La ruota sterza dallo stesso lato, e la moto curverebbe dalla stessa parte. Non so se avete mai provato a giocare con un lungo bastone, una scopa rovesciata è perfetta, in equilibrio sul palmo della mano: è piuttosto facile capire che quando il baricentro si sposta fuori equilibrio, basta che la nostra mano (cioè il punto di contatto) si sposti rapidamente dalla stessa parte per recuperare l’allineamento tra contatto e baricentro. Ecco: la ruota anteriore che sterza e viaggia verso il lato della caduta fa lo stesso lavoro e recupera l’equilibrio.
Una moto lanciata in corsa non può cadere perché appena ci prova la sua ruota anteriore sterza e si sposta lateralmente riallineando il punto di contatto con il baricentro, e questo avviene istantaneamente se la velocità della moto è sufficiente. Alla moto non resta altro che andare dritta in perfetto equilibrio, e tutto questo avviene a prescindere da incidenze e da offset. Anzi, succede anche ad una semplice ruota senza bicicletta: se la lanciamo dritta, lei continuerà dritta finché ha abbastanza velocità. Ci siamo?
Ma cosa succede fuori dal range? Quali sono gli effetti di una velocità troppo alta o troppo bassa sullo sterzo? E’ presto detto: immaginiamo una velocità troppo bassa. Una ruota senza bici che pian piano perde velocità. Osserviamo che comincia a oscillare, alternando “quasi cadute” con altrettanti raddrizzamenti violenti che arrivano ad innescare un fenomeno a pendolo da una parte all’altra, finchè la ruota finisce per sdraiarsi a terra.
Torniamo a ragionare sul giroscopio. Consideriamo la parte più alta della ruota, marcandola idealmente con un pennarello. Supponiamo che la ruota stia cadendo verso destra: se noi indichiamo con una freccia la velocità di quel punto, vediamo subito che alla solita freccetta rivolta verso avanti (indicante la velocità del punto prescelto durante la rotazione, non rappresentata in figura per non creare confusione) se ne somma una seconda rivolta verso il lato destro, frutto della velocità che il nostro pezzo di cerchio sta acquisendo durante la sua caduta verso destra.
Orbene, quando questo pezzetto di cerchio – proseguendo nella rotazione della ruota – si ritroverà verso la parte più anteriore della ruota, noi sappiamo che la sua freccetta laterale dovuta alla caduta si trasformerà in sterzata. Ma stavolta la ruota sta girando lenta, e prima di spostarsi di “un quarto di giro” la freccetta laterale sarà diventata una freccia più lunga. La sua velocità di caduta laterale (prima cioè di coprire quel quarto di giro che la trasformerà in sterzata) è diventata molto alta, perché il tempo di quel quarto di giro è diventato molto lungo; e nel frattempo la moto continuava a cadere e il nostro punto acquisiva velocità laterale.
Notiamo due cose: la sterzata arriverà in ritardo (il tempo necessario al quarto di giro è più elevato, e prima di diventare “sterzata” ci passa più tempo); e quando infine arriva, la velocità laterale accumulata è maggiore, quindi l’angolo di sterzata sarà più elevato. Insomma, il nostro giroscopio risponde in ritardo (dando il tempo alla ruota di cadere quasi a terra) e quando risponde lo fa in maniera troppo elevata, tanto che la nostra ruota si raddrizza di colpo e finisce per oscillare addirittura nel verso opposto innescando quel pendolo che noi osserviamo quando la ruota è troppo lenta e sta per cascare a terra: la ruota sembra ubriaca.
Vedremo altrove cosa possiamo fare per risolvere, ma portiamo al limite questo ragionamento: la ruota rallenta ancora fino a fermarsi. Moto ferma, ok? La parte superiore del cerchio casca di lato ma stavolta non si sposta verso verso avanti in quanto non c’è più rotazione della ruota. La velocità laterale di questo pezzo di cerchio aumenta, ma non si trasformerà mai in sterzata perché il pezzo alto del cerchio non si muove e resta lì dove si trova: in alto. La ruota non sterza, il punto di contatto non si riposiziona sotto al baricentro – come facevamo noi con la mano – e tra un attimo conteremo i danni che stiamo facendo al manubrio, alla leva del freno e al serbatoio.
Completiamo l’analisi con l’osservazione di una velocità troppo alta. Quanto a stabilità qui non ci sono problemi, la ruota sta bella dritta e mantiene la sua traiettoria. Fin troppo, per l’uso motociclistico. Il vero problema diventa quando noi vogliamo piegare la moto per inserirla in curva, e quel maledetto giroscopio è così efficace che corregge ogni mio tentativo di piega. Neppure finisco di squilibrarmi da una parte che subito la ruota sterza (stavolta il quarto di giro viene coperto in un amen) e si riposiziona sotto il mio baricentro. Tutto questo lo notiamo su qualsiasi moto: se curviamo lenti, lo sterzo vorrebbe chiudere e dobbiamo spingere sul manubrio interno (eccesso di angolo di sterzata), mentre la stessa moto sul veloce la debbo tirare di peso in modo anche brutale per farla curvare, che sennò lo sterzo neppure si muove.
A questo punto c’è abbastanza carne al fuoco, quindi per oggi mi fermo qui. E visto che non è facile scrivere questi pezzi tecnici in modo accessibile a tutti, e io ho la presunzione di riuscirci, prima di continuare voglio vedere 200 like in cima alla pagina. Così, per gratificazione personale. Sennò rimarrete tutta la vita col dubbio “ma a cosa serve l’avancorsa?”
Grazie Federico. Ci vuole di tanto in tanto un bel ripasso su come mai per svoltare a destra bisogna forzare il manubrio destro, così la ruota punta a sinistra, e tu ( e la moto ) piegate e a destra. Robe da matti . Lo facciamo tutti, tutti i giorni. Ma non ci pensiamo, e quando ci pensiamo rischiamo di sbagliare. Guido moto da 55 anni (ne ho 70) e un mese fa ho dovuto mollare il mio Ktm Adventure 1190 r. Qualche dolorino di troppo alle braccia e 150 cavalli non sono più un divertimento Czzzzzz. Bene ( cioè male ) mi sono preso un pur eccellnte Burgman 400. Va da dio, è comodo come un tappeto volante, frena che non ci avrei mai creduto ma : ma tutte le volte che faccio una curva non riesco a capire perchè la faccio. Prima era tutto chiaro: Curva a sinistra, semimanubrio sinistro, pedana sinistra, coscia che spinge sul lato destro del serbatoio, mento penzolante a sx del serbatoio, sguardo rapace sotto l’integrale rivolto all’infinito ( mai guardare la curva che stai percorrendo ). E adesso ? Seduto sulla Poltrona Frau, vedo avvicinarsi una curva, la guardo, penso di farla, la faccio. Punto. No pedana, no serbatoio, no niente. Comodo ma ho la sensazione che mi abbiano portato via qualcosa. Un lamp a tutti, anche a quelli che, beati loro, hanno ancora 150 Hp e più sotto il sedere.
bella federico. mi sembra che hai volutamente tralasciato “l’innesco ” della piega ( che si ottiene sbilanciando, controsterzando a vel. costante e/o riducendo la velocita’ insieme alle due manovre citate) soffermandoti su cosa avviene una volta che la moto piega.
mi sono un po’ perso sulla “minor” chiusura dello sterzo da rollio a velocita’ elevata …. che pur essendo tendente al neutro , presumo ci debba essere per forza …. altrimenti guidando senza mani , una volta riusciti seppur lentamente a piegare…. finiremmo per terra!
ciao ti seguo molto interessato!!
L’esempio della guida senza mani in bicicletta ci stava.
Grazie Federico.
TheOldPaul prima un abbraccio ad un co-anni-vecchiotto ma il CBR Fireblade non lo mollo nemmeno con l’artrosi che si affaccia …. ha ha ha ha ha ha unica cosa che evito è di andare in pista … se cado mi raccolgono con il cucchiaino hi hi hi hi
Steu, il discorso innesco verrà affrontato più avanti, come hai visto in passato è una cosa molto più complessa di quanto sembri da spiegare! 😀
certo smeriglio ;)… se non ho capito male , federico sta affrontando il caro tema del ” momento giroscopico da rollio” che niente ha a che vedere con l’innesco del rollio stesso.
è interessante conoscere che a seconda della velocità di rotazione del giroscopio il pilota è portato , immagino anche intuitivamente , a contrastare o addirittura pare a favorire la rotazione dello sterzo..a favore di curva.
ora
Quindi in pratica stai dicendo che la moto sterza perché quando piego si sommano settorialmente l’inerzia del movimento di rotazione della ruota e la sua forza dovuta alla tendenza a cadere dalla parte della piega?
P.S.: sorge un problema…vorrei ringraziarti infinitamente ma non ho Facebook…che si fa? Se passi a Roma ti offro qualcosa va!
Sì, Gabriele, sto dicendo che il momento di reazione un volano in rotazione è esattamente la composizione della sua caduta con lo spostamento delle masse dovuto alla rotazione. E’ solo un modo diverso di vedere lo stesso fenomeno, solo che non mi risulta che qualcuno lo abbia già fatto in precedenza. Questo modo di vederlo è una mia personale intuizione, e forse è più immediata per scopi divulgativi. Ovviamente non si tratta di una semplificazione: tutto resta assolutamente rigoroso, a cambiare è solo il sistema di riferimento 🙂
Ok, verso la fine dell’articolo ho cominciato ad unire i pezzi.
In pratica, la ruota tende a “rimanere sotto di me”?
Sì. La ruota, per l’effetto combinato tra la sua rotazione e la caduta, sterza dalla parte giusta e si riposiziona sotto di te.
Articolo molto interessante ed esplicativo, GRAZIE! Per quanto riguarda l’avancorsa, beh, ho un Paso ed una ST2, 🙂
Lamps a tutti!
“Sennò rimarrete tutta la vita col dubbio “ma a cosa serve l’avancorsa?”
no aspetta !! prima di morire vorrei saperlo!!!!! 😀 😀
quando piego la moto:
a) senza avancorsa , fondamentalmente dovrei accompagnare lo sterzo per trovare l’equilibrio???
b) piu’ avancorsa corregge e contrasta i vari momenti che vorrebbero far chiudere od aprire lo sterzo??
grazie 😉
Mettete quei dannati Like. Ora.
Gabriele mi sono piegato dalle risate!!! hahaha!! Se volete quei Like, condividete l’articolo sui Social… 😉
Altrimenti Federico non va avanti….sai come sono i tecnici, sono precisi!! haha!!
smeriglio … fatto 😉
ti aspetto dila’!!
http://www.daidegasforum.com/forum/aviaracing-hyperpro/588519-se-si-parla-giroscopio.html#post9470799
FEDERICO il video sotto e’ un esempio di giroscopio efficace che ” corregge ogni mio tentativo di piega”????
“Completiamo l’analisi con l’osservazione di una velocità troppo alta. Quanto a stabilità qui non ci sono problemi, la ruota sta bella dritta e mantiene la sua traiettoria. Fin troppo, per l’uso motociclistico. Il vero problema diventa quando noi vogliamo piegare la moto per inserirla in curva, e quel maledetto giroscopio è così efficace che corregge ogni mio tentativo di piega. Neppure finisco di squilibrarmi da una parte che subito la ruota sterza (stavolta il quarto di giro viene coperto in un amen) e si riposiziona sotto il mio baricentro. Tutto questo lo notiamo su qualsiasi moto: se curviamo lenti, lo sterzo vorrebbe chiudere e dobbiamo spingere sul manubrio interno (eccesso di angolo di sterzata), mentre la stessa moto sul veloce la debbo tirare di peso in modo anche brutale per farla curvare, che sennò lo sterzo neppure si muove”
http://www.youtube.com/watch?v=Mjmjwfvg78k
Me lo ricordavo questo articolo, uno degli scritti di ingegneria più belli che abbia mai letto. Complimenti
Ogni tanto rispolveriamo i vecchi articoli così da non dimentiarci le basi…intanto lavoriamo su un debriefing di Valencia sul quale Federico ci sta perndendo le notti!