Settembre, tempo di progetti: le evoluzioni delle moto in vista del 2015 cominciano a prendere forma sulla scorta dell’esperienza della stagione in corso. Anno dopo anno, ogni Casa cerca di risolvere col modello successivo le maggiori criticità del modello precedente, e su questa considerazione proviamo a tracciare le linee guida delle diverse moto. Per fare questo, occorrerà richiamare alcuni concetti in diverso modo espressi negli articoli più tecnici. Iniziamo.
Una moto sta in piedi quando le forze e i momenti sui diversi assi sono equilibrati, così ci hanno sempre insegnato. Esattamente come una bicicletta, in curva la forza centrifuga genera sul baricentro una coppia raddrizzante rispetto all’asse di rotazione passante per i contatti a terra che equilibra la coppia generata rispetto al medesimo asse di rotazione dalla forza di gravità agente sullo sbraccio dovuto all’inclinazione del mezzo verso l’interno della curva. Banale, vero? Però io ho scritto coppia, e non momento: e le coppie sono appunto due forze agenti in verso opposto su linee d’azione parallele non coincidenti. Sia la forza peso che la forza centrifuga agiscono in coppia su una rispettiva forza uguale e contraria ma non allineata: la forza peso sarà accoppiata alla reazione vincolare del terreno mentre quella centrifuga sarà accoppiata con la forza laterale esercitata dalle ruote. In una parola, il grip. Senza preoccuparci della reazione vincolare del suolo, sempre sufficiente a contrastare la forza peso agente sul baricentro e a generare una coppia equilibrata (a meno che non ci troviamo sulle sabbie mobili e il terreno non riesca a sostenere il peso della motocicletta), abbiamo qualche problema con il grip: se non fosse sufficiente noi non riusciremmo a contrastare la forza centrifuga e la ruota perderebbe aderenza. Nei manuali di fisica elementare c’è scritto che cadremmo, e non c’è dubbio che la maggior parte di noi effettivamente finirebbe per terra, ma la caduta è davvero l’inevitabile conclusione della perdita di aderenza? La risposta è no, evidentemente no. E questo non contrasta affatto con le leggi fisiche che, voglio dirlo apertamente, nessun pilota può ignorare e tanto meno sfidare. Il limite sta nella semplicità del modello illustrato nei manuali scolastici.
Nei pezzi più tecnici mi avrete sentito parlare di momenti inerziali rispetto a questo o a quell’asse. Cosa significa? Significa che la motocicletta, come ogni altro oggetto reale la cui massa non può essere puntiforme ma è distribuita lungo tutta l’estensione del corpo fisico, ha la necessità di essere messa in rotazione rispetto ai suoi assi durante la guida. Quando pieghiamo, per capirci, tutta la massa della moto rolla su un lato: ma la sua massa non puntiforme genera un momento inerziale che si oppone alla rotazione, un po’ come se volessimo mettere in rotazione un volano molto pesante e sentiamo la sua resistenza ad essere accelerato pur senza alcuna variazione del suo baricentro. Stessa cosa quando entriamo in curva, e la moto con le sue masse si oppone all’imbardata. Da questo ne conseguono molti fenomeni che adesso, volenti o nolenti, voi vi sorbirete almeno per sommi capi.
Abbiamo appena detto che le masse di un corpo fisico non gradiscono venire accelerate in rotazione anche se nessuno sta spostandone il baricentro. La resistenza alla rotazione delle masse dipende, oltre che dal valore delle masse, dalla loro disposizione: considerato un asse di rotazione, le masse si opporranno con vigore maggiore man mano che la loro distanza dall’asse di rotazione aumenta. E questa maggiore resistenza non è lineare ma quadratica: in definitiva, raddoppiando la distanza di una massa dall’asse attorno al quale noi intendiamo farla ruotare, la sua resistenza diventa quattro volte. Tenetelo sempre presente, è importantissimo.
Immaginiamo la nostra moto che entra in curva: oltre alla forza centrifuga – come da modello semplificato – la forza laterale delle gomme dovrà incaricarsi di fornire anche quel momento occorrente ad accelerare le masse della moto rispetto all’asse z (verticale, di imbardata). Questo significa che la ruota anteriore dovrà fornire rispetto alla sola forza centrifuga una forza laterale tanto maggiore quanto più le masse sono disperse lungo la lunghezza della moto, mentre la reazione sulla ruota posteriore diventerà sempre minore al crescere della dispersione fino al punto – soltanto teorico – di essere totalmente liberata dal compito supplementare quando noi avessimo le masse interamente concentrate agli estremi della moto.
Possiamo quindi riassumere dicendo che la dispersione delle masse nella lunghezza della moto crea un problema alla ruota anteriore obbligandola ad un supplemento di lavoro che il grip potrebbe non riuscire a contrastare. Il risultato è un avantreno in deriva e un nuovo tipo di sottosterzo di natura differente da quello in uscita di curva, altrove già discusso e derivante dalla posizione del baricentro. Lo ripeto ancora, qui parliamo di accentramento delle masse a parità di baricentro.
Esaminiamo più in dettaglio la sequenza degli eventi: per prima cosa avremo le gomme che forniranno la forza iniziale per rollare la moto mentre avanza, e supponendo la medesima dispersione delle masse rispetto all’asse di rollio ne discende che un baricentro più alto richiede minore forza laterale alle gomme. O se preferite, a parità di grip la moto col baricentro alto rolla più facilmente e inserisce con maggiore rapidità.
Man mano che rolla, la moto sterza dalla parte giusta e inizia l’inserimento in curva. E qui ci ritroviamo a combattere con la dispersione di massa sulla lunghezza, come illustrato sopra. Sono due distinti momenti inerziali su due diversi assi di rotazione, ma parzialmente sovrapposti nel loro effetto di resistenza alle nostre manovre, ok?
Per il momento la parte teorica finisce qui (solo per il momento, non vi illudete) e adesso ci occupiamo delle moto e delle loro evoluzioni.
Cominciamo dalla Yamaha e analizziamo il progetto originario. L’idea di base di Furusawa, il progettista, era quella di battere la Honda con un mezzo capace di curvare veloce, secondo il ragionamento che i motori son pressappoco tutti allo stesso livello e che in rettilineo si fa poca differenza; idea non priva di fondamento, soprattutto con un riferimento come Biaggi, pilota di punta della squadra e con uno stile pulitissimo. La M1 nasce quindi con caratteristiche ben precise: passo contenuto e motore alto e avanzato con masse molto accentrate. Il centraggio alto determina importanti qualità: crea un elevato braccio di azione in modo da determinare un rollio veloce senza richiedere alle gomme grossi supplementi di forza laterale e inoltre sfrutta le fasi di inizio piega e di fine piega per raccordare naturalmente le curve e per ottenere una elevata velocità di percorrenza, come spiegato QUI (Dove nasce il sottosterzo Parte2). Crea inoltre, in presenza di una sufficiente aderenza, un braccio sufficiente a determinare un corretto momento di trazione in fase di uscita dalle curve, rendendo la moto molto neutra in accoppiamento col passo contenuto.
Naturalmente un centraggio alto porterebbe presto la moto all’impennata facile, ma il posizionamento avanzato del motore 4 in linea, molto compatto nel senso longitudinale, sposta il carico statico sull’avantreno e contrasta efficacemente l’impennata, come spiegato QUI (Dove nasce il sottosterzo Parte1). La compattezza del motore unita al passo contenuto limita inoltre il momento inerziale della moto rispetto all’asse di imbardata, consentendo oltre a una piega facile anche un inserimento rapido e poco stressante sulle gomme. In una parola, la moto non soffre minimamente di sottosterzo. La ruota posteriore ha un carico statico ridotto, ma il carico dinamico di trasferimento durante l’accelerazione riporta l’aderenza ai corretti valori.
Resta naturalmente una leggera difficoltà a scaricare i cavalli nelle curve a gomito, dove alla riapertura del gas il carico statico è ancora basso finchè la moto non ricomincia ad avere una sufficiente accelerazione: ma la M1 non è concepita per le curve all’americana e la sua traiettoria sarà rotonda, senza perdite di velocità e senza ripartenze da fermo o quasi. Con gli anni crescono le potenze, col risultato che il grip della ruota posteriore sull’asfalto non è più sufficiente: le condizioni di base sulle quali si fondava il progetto sono fuori dal range previsto all’origine, e cominciano i guai. La moto non riesce a scaricare la potenza a terra, l’elettronica interviene e fa apparire il motore meno dotato degli avversari: la velocità in curva resta sempre ottima, ma in uscita viene staccata dalla concorrenza.
Chi tenta di esagerare si ritrova un problema gigantesco: quando il retrotreno sotto gas perde aderenza, ci si ritrova con una ruota anteriore che tira lateralmente – col braccio costituito dalla distanza contatto-baricentro – delle masse che vanno dritte per la tangente per l’assenza di un qualsiasi vincolo posteriore. E qui va aggiunta una piccola annotazione di teoria (vi avevo detto che non era finita, no?): a frenare l’imbardata generata dalla ruota anteriore che tira su un baricentro che vuole andare dritto è solo l’attrito laterale della ruota posteriore che sbanda, e questo attrito non dipende dalla velocità di sbandata ma esclusivamente dal coefficiente di attrito radente e dal carico verticale sulla ruota. Ma la M1 ha le masse avanzate, quindi il carico verticale è sull’anteriore, e perdippiù molto accentrate. Ricordate cosa abbiamo detto sopra? La resistenza delle masse all’imbardata dipende dalla loro distanza al quadrato dall’asse di rotazione. Molto accentramento, cioè poca dispersione, equivale a pochissima resistenza all’imbardata.
Quello che era un vantaggio finchè le ruote avevano sufficiente grip, adesso con la perdita del retrotreno diventa un difetto: appena perde aderenza la M1 sbanda bruscamente, non esiste un momento di inerzia sufficiente ad opporsi all’imbardata ormai libera e non controllabile dall’attrito radente posteriore. L’unico modo di evitare la trottola è levare il gas e riprendere aderenza, ma con un rischio ancora maggiore: ritrovare aderenza con la moto in violenta sbandata porta dritti all’highside. Non ci sono soluzioni, occorre evitare elettronicamente le perdite di aderenza a costo di tagliare i cavalli e dare l’impressione di un motore fiacco. Oppure si rischia di trovarsi una piastra di titanio nella spalla e storcerla la settimana successiva, come Lorenzo nel 2013. Da qui partiamo per capire quale è stata la linea di sviluppo per il 2014 e quale sarà quella per il 2015.
Lasciatemi dire che noi, prima ancora delle dichiarazioni dello stesso Furusawa, fummo i primi – e anche gli unici, a dirla tutta – a rilevare che la M1 per come era stata inizialmente concepita era a fine sviluppo e occorreva ripensarla, proprio mentre il resto del mondo decantava la perfezione della Yamaha. Lorenzo in realtà, a dispetto della apparente facilità di guida osservata da tanti commentatori troppo superficiali, stava facendo un incredibile miracolo che a Rossi non riusciva più: tirare al massimo con una moto che appariva molto composta ma alla quale sarebbe bastato l’impatto con una mosca per sorpassare il proprio limite e finire rovinosamente a terra. Le stesse doti che permettevano alla M1 di essere un po’ più veloce in inserimento e percorrenza la rendevano terribilmente pericolosa appena si superava il limite di tenuta delle gomme, rendendola di fatto incontrollabile. La Yamaha in tenuta ha prestazioni un po’ migliori delle moto concorrenti, è facile andare forte da subito; ma è rischiosissimo portarla al limite e impossibile da spingere oltre.
Nell’inverno tra il 2013 e il 2014 si cerca un maggiore carico statico posteriore per poter scaricare cavalli quanto i concorrenti. Mentre la Forward, in pratica una M1 2013, risolve il problema senza cambiare un solo bullone semplicemente utilizzando una gomma posteriore soft, la Factory sconta la mescola media e si ritrova con un problema derivante dall’impostazione originale: il motore andrebbe arretrato per guadagnare motricità, ma per evitare l’impennata andrebbe contemporaneamente abbassato. Solo che il 4 in linea, fatto per essere corto e accentrare le masse, è troppo largo: montato più in basso finisce per toccare terra in piega. Occorre ridisegnarlo completamente, manca il tempo e forse anche qualche idea migliore: il motore resta al suo posto e il telaio viene allungato nella parte anteriore, arretrando il carico statico. Rispetto al carico dinamico nulla cambia: altezza e distanza dal contatto posteriore restano identiche e la moto può accelerare senza impennare esattamente quanto la precedente, ma stavolta può contare su un grip maggiore alla primissima riapertura.
Modifica all’apparenza facile e risolutiva senza troppe modifiche, ma da subito dicemmo che la moto avrebbe sofferto di sottosterzo e occorreva adottare una guida di corpo inusuale per una M1. Detto e fatto, Lorenzo in Qatar perde aderenza sull’anteriore e si ritrova a zero punti. Ricorderete tutti l’umore del maiorchino e le sue rimostranze per la scelta Yamaha di puntare sulla formula Factory piuttosto che schierarsi in categoria Open e risolvere la motricità con una semplice gomma soft. E ricorderete anche che la Forward è stata da subito competitiva pur in assenza di quello sviluppo che solo un team ufficiale può garantire. Rossi mette a frutto i consigli che da sempre gli davano in Ducati per cambiare la sua guida e contrastare di corpo il sottosterzo: già nel 2013 per la stessa ragione aveva avuto grosse difficoltà e durante l’inverno aveva maturato la decisione di cambiare finalmente stile, mentre Lorenzo – sulla base degli ottimi risultati ottenuti – ancora non aveva realizzato questa necessità. Nell’articolo precampionato scrivevamo che Lorenzo si sarebbe trovato male ma che dopo un certo numero di gare avrebbe capito e adattato la sua guida, e ora sapete su quali basi stavamo ragionando: i momenti inerziali della moto allungata. E vediamoli.
La M1 attuale, rispetto al progetto originario di Furusawa, ha le masse meno accentrate dovute a una forcella più lontana dal baricentro: il maggiore momento di inerzia sull’asse z in fase di inserimento combinato con un grip inferiore della ruota anteriore porta al sottosterzo in ingresso di curva, e non esiste geometria di sterzo capace di cambiare questo fatto. Il grip non ha assolutamente a che vedere con le geometrie, lo ricordo ancora una volta; e se volessimo tentare di correggere il sottosterzo inerziale con una maggiore sterzata l’unico risultato sarebbe di accentuare la deriva di una ruota già alleggerita e quindi peggiorare il sottosterzo. Ancora, un piccolo incremento della distanza tra forcella e contatto posteriore nel momento in cui la moto in accelerazione ancora piegata solleva l’avantreno genera un maggiore momento inerziale di imbardata rispetto a quello che in questa situazione è l’asse di rotazione: il contatto posteriore.
L’entità di questo incremento inerziale cresce secondo il quadrato della distanza, diventando elevato anche per incrementi di passo di piccola entità, e questo rende più difficile al momento di trazione in uscita contrastare la tendenza della moto ad allargare la traiettoria in aria. Sia in ingresso che in uscita non c’è che una soluzione: lavorare col peso del corpo nonostante il baricentro sia rimasto alla stessa altezza. Ed è esattamente quanto ha fatto Rossi nelle prime gare nonché quanto Lorenzo sta facendo oggi. La ruota posteriore avanzata, al duplice scopo di cercare motricità e di accorciare il passo, nonché il mollone morbido, per abbassare la moto in accelerazione e limitare l’impennata che la ruota avanzata genera, sono i settaggi più frequenti sulla M1 di oggi, ma con una inevitabile ripercussione sul tirocatena che se da una parte rende più controllabili eventuali derapate, dall’altra va in direzione opposta a quella trazione appena migliorata con il telaio allungato. In compenso, il maggiore momento inerziale sull’asse di imbardata e il maggiore attrito radente quando la posteriore perde aderenza e sbanda all’esterno rendono “rischiosissimo” ciò che fino all’anno scorso era “impossibile”: Lorenzo, e lo abbiamo appena visto QUI (Debriefing Silverstone), a prezzo di una concentrazione di guida sovrumana stava provando a intraversare la sua scorbutica – in quella situazione – M1 2014. E a fine gara ha dichiarato “mai guidato così in vita mia”.
Tutto questo è chiaramente ben noto ai progettisti Yamaha, i quali per il 2015 hanno un preciso obiettivo: rendere la M1 meno scorbutica e traditrice, evolvendola in una moto più omogenea e sincera, alla portata di tutti i piloti. La versione futura tornerà a un passo più contenuto con un sottosterzo inferiore e la motricità sarà cercata con l’arretramento del motore, abbassandolo soltanto quanto lo consentirà uno snellimento in zona carter allo scopo di ridurne la larghezza. Se sarà necessario si compenserà il mancato abbassamento del motore col riposizionamento in basso di quanto possibile, niente escluso, arrivando perfino all’ipotesi di spostare il mollone sotto al motore e ridisegnando gli scarichi se fosse indispensabile. Come ipotesi estrema, ma non penso si arriverà a tanto, si potrebbe arrivare a ridisegnare il motore nella zona frizione e cambio per lasciare l’albero motore troppo largo alla stessa altezza attuale ma portando il primario al di sotto del secondario in modo da abbassare il baricentro senza pregiudicare l’angolo di piega possibile.
L’accentramento delle masse sarà più simile al progetto originale che alla M1 lunga, e la moto continuerà a preferire la percorrenza alla derapata: ma il maggiore carico posteriore consentirà, nonostante la riduzione del momento inerziale, un significativo incremento dell’attrito radente sulla gomma posteriore in sbandata, un più intuitivo controllo sullo sterzo in caso di perdita di aderenza al retrotreno e, in definitiva, permetterà un lieve superamento dei limiti di tenuta senza necessariamente finire in highside. Infine il baricentro più basso renderà, è vero, la moto un po’ meno veloce della progenitrice in curva, ma la cosa sarà ampiamente compensabile con la guida di corpo, stavolta per fare percorrenza e non per contrastare il fastidioso sottosterzo della versione 2014. Sarà sempre la più scorrevole in piega, solo un po’ meno maneggevole da guidare. Ma soprattutto meno ansiogena per i piloti, che potranno provare a forzare senza rischiare troppe fratture. E da casa qualche volta capiterà di vedere la ruota posteriore in posizione diversa dal solito tutto avanti attuale.
Se siete arrivati vivi fin qui, vi faccio i miei complimenti. Ma non dubitate: vi darò il colpo di grazia tra qualche giorno, quando parleremo delle altre.
innanzitutto complimenti! bellissimo articolo .
e poi permettimi una battuta o meglio , una figura mitologica che mi e’ venuta in mente leggendo!! in una parola : ” CASSANDRA” ….
Messo anche questo, nei bookmarks!
L’articolo l’ho letto tutto…… Spero solo che un giorno non ci interrogherete 😀
Articolo stupendo! Grazie davvero!
Jigen75 come non vi interroghiamo .. ma se abbiamo fatto una grafica, che spesso avrete visto in pista, con domande bene precise , guarda che vogliamo risposte …
:'( ecco lo sapevo….. Passerò le ferie (che devo ancora fare) a studiare!! Rimandato a settembre pure qui!
Buon pomeriggio Federico.
Lavoro monumentale, il sunto di quanto scritto in tutto gli articoli pubblicati fino ad ora.
Ovviamente complimenti.
Mi pare di avere compreso quasi tutto, eh si c’è voluto parecchio per assimilare completamente i concetti ma, se non ti dispiace, ho una lista di cose non completamente chiare, due considerazioni e una domandona finale che sono sicuro che ti hanno scritto in mille ma non ho trovato traccia di ciò:
Parliamo dalle considerazioni:
Ottimo la specificazione di attrito radente piuttosto che altri termini; faccio un mestiere il quale quotidianamente studio queste cose e per gli addetti al lavoro sono concetti su cui non possono esserci fraintendimenti.
A mio avviso Yamaha tutto sommato ha fatto un eccellente lavoro “allungando” ”SEMPLICEMENTE” Il telaio. Ma cosa fatto ha veramente: allungato il telaio? hanno messo piastre con un offset più avanzato ? oppure ha cambiato l’angolo di sterzo? Secondo me la seconda, vero?!
Eh si trovandosi con un budget che non è quello dell’Honda con idee che tutto sommato dopo l’uscita di Furusawa non abbondavano, volevano stare al sicuro ma allo stesso tempo cambiare un po’ le cose e devo dire che tutto sommato ci sono riusciti complice ovviamente le ottime qualità dei due piloti; soprattutto quello più âgé.
Quindi sì, si sono complicati sicuramente la vita facendo questo “piccolo” intervento ma tutto sommato ha funzionato e devo dire che è servito per poi progettare Yamaha 2015 con una visione olistica e più organica, secondo quanto scrivi.
Domande:
Non ho capito del tiro catena come scrivi: “…..sulla M1 di oggi, ma con una inevitabile ripercussione sul tirocatena che se da una parte rende più controllabili eventuali derapate, dall’altra va in direzione opposta a quella trazione appena migliorata con il telaio allungato….”
Cioè nel momento in cui il perno motore e sotto la linea mediana del forcellone è più controllabile la derapata, perché? E poi perché si perde in trazione? Ho provato a vedere in internet ma ci sono troppi cialtron; meglio chiedertelo direttamente.
Scrivi: “…mentre la reazione sulla ruota posteriore diventerà sempre minore al crescere della dispersione fino al punto – soltanto teorico – di essere totalmente liberata dal compito supplementare quando noi avessimo le masse interamente concentrate agli estremi della moto…” Proprio non ho capito nulla.
E poi ancora nell’immagine con la didascalia dove c’è scritto: “…..la ruota posteriore ha peso aderenza ……lontane dall’asse di rotazione…” La moto sta curvando a destra rispetto al senso di marcia? se sì la ruota anteriore va in deriva? Ma se è il posteriore ad andare in attrito radente il senso di rotazione non dovrebbe essere opposto rispetto alla freccia indicata?
E ora domandona finale, è da un anno che volevo fartela e credo che ora dopo questo articolo sia il momento giusto.Arcinota discussione presunta tra Furusawa e Preziosi: “….Non ho ovviamente potuto rivelare informazioni relative a Yamaha, e non siamo entrati nei dettagli” spiega in un passaggio Furusawa. “Gli ho solo spiegato il mio approccio e il relativo modo di pensare – il metodo che ho impiegato nel 2004. Per esempio, il ‘triangolo centroide’, ovvero quel triangolo creato dalla correlazione fra i punti di contatto delle gomme anteriore e posteriore con l’asfalto e il baricentro della moto, in cui il punto superiore non deve mai allontanarsi troppo dal centro in nessuna delle due direzioni. O anche, parlando di sospensioni, di come io non misuri mai o non mi esprima in termini di ‘rigidità’, quando invece di ‘frequenza’, cercando di rendere quella delle due sospensioni più simile possibile, per addolcire i trasferimenti di carico….”
Secondo me la storia del centroide mi sa un po’ si super-cazzola ,a ben vedere credo che voleva dire esattamente quello che scrivi nei tuoi articoli su centraggio del baricentro nella moto.
Molto interessante invece quando parla di un modo diverso di concepire le sospensioni, in riferimento alla frequenza.
Cosa ne pensi? Chiedo scusa ma un articolo come questo non poteva che far sorgere un bel po’ di domande.
RA
Ciao RA ti risponodo io, in altre parole, alzare una moto con centraggio arretrato migliora l’ingresso ma penalizza l’uscita dalle curve, fermo restando che con l’opportuno stile di guida, giocando col peso del corpo e con alcuni fenomeni altrove spiegati, il pilota esperto riesce a limitare il sottosterzo in uscita di una moto con centraggio arretrato e non sufficientemente basso.
Lo trovi anche molto piú dettagliato nell’articolo sull’evoluzione della Ducati 2014-2015
La questione del tiro catena è complessa e qui non l’abbiamo affrontata, e d’altra parte mi pare che ci sia già molta carne al fuoco. Mi limito a rispondere in breve che il forcellone orizzontale genera un cinematismo che reagisce alle forze di trazione ritrovando continuamente il punto di equilibrio con un trend normalmente definito “in controreazione”. Per quanto riguarda Furusawa, sì, il suo triangolo centroide è un modo esotico di parlare esattamente di quanto abbiamo scritto a suo tempo circa il centraggio di una motocicletta. Proprio assolutamente identico. La vera supercazzola invece è quella delle frequenze, ma è lunga da spiegare. Un consiglio però lo voglio dare: mai fidarsi di un giapponese, lui ti dirà solo una parte della verità. Ma soprattutto, te la dirà in modo tanto ambiguo che nove volte su dieci tu capisci quello che vuoi capire, non quello che ha davvero detto. E’ un aspetto un tantino beffardo del loro carattere… 😉
Grazie Federico.
Davvero gentile , chiedo scusa se ho fatto un sacco di domande ma davvero la curiosità e tanta.
E comunque sì c’è tanta carne al fuoco.
Accetto il consiglio sui Giapponesi, ne conosco qualcuno anch’io gente strana davvero ma c’è di peggio eh.
Certo che anch’io colle domande mi vado ad incasinare eh; niente da chiedere invece l’articolo sull’evoluzione ducati, chiarissimo
Di nuovo .. alla prossima
RA
Ah, dimenticavo: hanno proprio allungato il telaio dal cannotto, aggiungendo qualche centimetro.
Grazie Federico
Azz l’ho scazzata.