Ferrari: ma che succede?

Il clamoroso autogol nella Q3 del GP del Giappone, una figuraccia in mondovisione che ha definitivamente chiuso un Mondiale già socchiuso. Possiamo dire che il mondo Ferrari, dopo la scomparsa del presidente Marchionne, non è stato più lo stesso: gli ultimi sviluppi, in primis un nuovo fondo, non hanno dato le risposte sperate, e dove pare che i rapporti interni si siano fatti parecchio tesi. Mai come ora è necessario che si palesi la nuova proprietà, poiché a monte di ogni successo tecnico non può mancare la totale unità d’intenti delle risorse umane, venuta a mancare dopo l’estate.

Quella di Suzuka è l’ultimo capito di errori decisionali ed è segno di contrasti interni che sono emersi plasticamente. Al termine delle qualifiche, Sebastian Vettel ha scelto di difendere la squadra, parlando esplicitamente di “scelta condivisa“. Come ben sappiamo è un’attitudine aziendalista che del resto proprio Maurizio Arrivabene ha sempre predicato in prima persona, con i suoi lunghi silenzi e con i suoi: “Si corre, si vince e si perde tutti insieme“. Questa volta è proprio il Team Principal ferrarista che se ne esce in Giappone con dichiarazioni livide e accusatorie:

” Un errore inaccettabile, una decisione presa con coscienza, e questo è anche peggio. Quando se l’unico a fare un certo tipo di scelta o sei molto furbo o non lo sei affatto. Io davanti a queste figure ci metto la faccia, però…”

Va da sé che il ruolo del team principal è al di sopra di quello della gestione del team, ma è anche vero che un capo non può permettersi di scaricare le responsabilità sui sottoposti. Anche perché, come ha sottolineato il settimanale Autosprint, nelle ultime uscite Arrivabene aveva fatto più o meno filtrare agli organi di stampa considerazioni sui problemi della macchina che ad un certo punto, dopo aver dominato in Germania e Belgio, avrebbe “perso carico sul posteriore”. E qui l’accusa, più ancora che al muretto, sembra indirizzata al gruppo di lavoro guidato da Mattia Binotto. Ovviamente, quando non si rema tutti nella stessa direzione, i problemi vengono a galla rapidamente, soprattutto se viene a mancare il riferimento. Perché è vero che al muretto rosso di Suzuka si è sbagliato al punto da far rimpiangere un ‘pistaiolo’ stile anni ’70 (altra dichiarazione francamente imbarazzante di Arrivabene), ma è altrettanto vero che non si capisce perché il Team Principal abbia voluto sfogarsi davanti ai microfoni di tutto il mondo e non nel chiuso dello spogliatoio, o del garage, se non per portare un attacco preciso. Tralasciando i rapporti personali, pare che tra i fattori scatenanti ci sia infatti anche una questione tecnica, ovvero lo zoppicante sviluppo della SF71-H dall’estate in poi. Se Mercedes durante le vacanze sembra infatti riuscita a risolvere definitivamente i problemi di utilizzo della finestra ottimale per le gomme potendo riprendere a spingere sul motore che era stato ‘congelato’ dopo i problemi in Austria, la rossa ha fatto l’opposto. Il pacchetto aerodinamico introdotto a Monza ha portato problemi di blistering alle gomme posteriori e poi di assetto a Singapore, mentre il nuovo fondo studiato appositamente per Suzuka è stato rinnegato già dopo le libere del venerdì mattina. Un problema, quello dello sviluppo da metà stagione in poi, che aveva peraltro già azzoppato Maranello in parecchie delle stagioni passate.

In questo quadro è più che mai urgente che la proprietà, nelle persone di John Elkann e Louis Camilleri, recuperi velocemente la barra di comando e restituisca coesione al team. Perché, come ha avuto modo di dire Piero Lardi Ferrari a Leo Turrini, “non bisogna mai avere paura di studiare il passato, ad esempio non è un caso che nell’era più bella della storia ferrarista in F1 ci fosse una simbiosi perfetta fra i vertici ed il reparto corse”. Cosa che evidentemente non avviene oggi.