Padova, ma tutto il Veneto in generale, è un territorio che ha dato molto al mondo del motorsport. Riccardo Patrese proveniva dal centro patavino, Sandro Munari abita a Cavarzere in provincia di Venezia, ecc. Abbiamo avuto la fortuna di incontrare uno di questi fuoriclasse che ha permesso all’Italia di diventare grande nel mondo dei motori e del motocross in generale. Anche se non ha mai vinto alcun titolo iridato ha condotto per alcuni round il mondiale alla fine degli anni ’80 e ha terminato a pochi punti dal titolo nel 1990. E’ stato il primo italiano a vincere nella 250cc (l’odierna MX2). Ecco quanto ci ha raccontato Michele Fanton.
1 Chi ti ha trasmesso la passione per il motocross ? Quando hai debuttato ?
La passione per il mondo del motocross mi è stata trasmessa da mio padre, anche lui crossista negli anni ’60 – ’70. Mi ha dato l’input, diciamo, anche se a casa mia si “masticava” molto motocross. Ho iniziato la mia carriera agonistica a 4 anni in sella ad una Italjet. Ma non ho solo corso in moto da piccolo. Tra i 10 ed i 14 anni ho giocato a calcio nella squadra del mio paese. Le prime gare di motocross a livello regionale le ho iniziate a correre intorno agli 11 anni. I circuiti erano costruiti all’interno degli stadi, come le piste da supercross americano (ride), ed erano davvero molto semplici, a volte privi addirittura di salti.
A 14 anni, però, i miei genitori mi hanno messo davanti ad un bivio: o il pallone o la moto. In quel momento decisi di seguire il cuore e scelsi di diventare pilota professionista. Ho debuttato non ancora quindicenne con un cinquantino della Cobe, un preparatore padovano, nel campionato regionale cogliendo la possibilità di correre nel Triveneto nel 1981. Quell’anno vinsi il campionato e ottenni l’iride anche nel 1982 in 125cc con una TM. Nel 1983 sono passato in Aprilia e ho avuto l’occasione di correre una manche nel mondiale cadetto. Ottenni ottimi risultati nel 1983 e venni promosso a pilota ufficiale Aprilia per il campionato mondiale 1984. L’apice della carriera l’ho raggiunto nel 1990 quando terminai quarto il mondiale mentre l’anno prima, nel 1989 condussi il campionato per quattro gare.
2 Quali sono state le emozioni provate nella prima gara del mondiale ? Con quale team hai iniziato la tua carriera nel campionato ?
Quella gara me la ricordo molto bene. E’ stata la mia prima esperienza nel mondiale e correvo davanti al pubblico di casa. Dovunque voltassi lo sguardo vedevo piloti famosi e di talento, super campioni come Harry Everts, il padre di Stefan, Michele Rinaldi che nel 1983 giunse secondo dietro ad Eric Geboers e poi ancora tutti i temibili olandesi. Avevo paura, non volevo più correre ma poi la voglia di vincere è emersa. Se non fosse stato per una foratura avrei terminato 10° e avrei ottenuto un punto nel mondiale. Ho corso come wild card altre due volte: in Spagna ed in Jugoslavia terminando decimo ed ottenendo i primi due punti mondiali della mia carriera.
Un pilota da record
3 Il primo italiano a vincere in 250. Come ti sei sentito nel momento in cui hai superato la bandiera a scacchi ?
E’ stata un’emozione indescrivibile. Al tempo la 500cc era la classe regina ma i costruttori giapponesi, i preponderanti nel mondo del fuoristrada, erano interessati più alla 250cc. Le moto e la relativa gestione, infatti, costavano meno per cui i team clienti preferivano di gran lunga la classe cadetta rispetto alle impegnative 500cc della classe regina. In breve divenne il campionato più seguito. Nel 1986 ho vinto il GP di Gallarate con un 1° ed un 3° posto. Sono stato il primo italiano a trionfare nella 250cc. E’ stata l’emozione più forte provata nella mia intera vita. C’erano Rinaldi, Vimond, molti altri più blasonati di me ma sono riuscito a batterli tutti in quell’occasione.
4 Qual è il tuo miglior ricordo del mondo delle corse ? E il tuo peggiore ?
Il migliore sicuramente la vittoria del primo GP. Il peggiore fu l’infortunio alla fine degli anni ‘80. Correvo per il team ufficiale Yamaha e partecipai ad un evento pre – stagionale a Mantova. Vinsi gara 1 e partii per gara 2 deciso più che mai a dimostrare il mio valore in vista del mondiale. Mentre lottavo con David Strijbos, tuttavia, sono caduto all’ultimo giro e mi sono infortunato al ginocchio. Il dolore era molto forte e soffrii per tutta la stagione compromettendo il risultato.
Il dopo carriera
5 Hai continuato a seguire il mondo del motocross dopo il tuo ritiro ?
Ho smesso di correre alla fine degli anni ’90 e mi sono preso un anno sabbatico per ricaricare le pile. Dopo alcuni anni, però, ho capito che il mio mondo era solo ed esclusivamente il motocross e decisi di fondare una scuola proprio di motocross. Seguo sostanzialmente bambini e giovani talenti di questo sport.
6 Cosa ne pensi della situazione italiana di questo sport ? Come faresti per alzare di qualità i nostri portacolori ?
La situazione italiana non è delle migliori diciamocelo. All’orizzonte non vedo dei futuri Cairoli. Un personaggio come Tony, in Italia, nasce una volta ogni 50 anni (ride). Posso dirmi soddisfatto e ripongo speranze in Mattia Guadagnini e Alberto Forato che conducono il campionato europeo 125cc e 250cc rispettivamente. Posso modestamente riconoscermi un merito in questi risultati in quanto ho insegnato io le basi a questi due ragazzi. Hanno mosso i primi passi nel minicross proprio con me.
7 Descrivi il motocross in 3 parole.
Innanzitutto “gioia”, se sei appassionato di qualcosa la fai con il cuore e ciò ti infonde un senso di felicità non indifferente ed indescrivibile. La seconda parola, collegata alla prima, direi che è proprio “passione”. La terza è “insegnamento di vita”. Ho corso in tutto il mondo e ho viste cose che nessuno può immaginare. Mi ricordo il degrado del Venezuela, del Brasile, dell’Argentina o dell’Indonesia. Posti dove l’acqua manca e le persone vivono di stenti. E’ proprio in queste occasioni che capisci quanto sia importante ciò che hai. Impari a rivalutare tutto ciò che possiedi e a ringraziare il buon Dio per averti permesso di vivere in condizioni umane e di coltivare la tua passione. Cosa non permessa a tutti.
Credits photo: Michele Fanton