Di Angelo Pellegrini abbiamo parlato già a novembre dello scorso anno in un articolo dedicato. Angelo Pellegrini è un talento nato del supercross internazionale ed italiano. E’ stato, infatti, il primo italiano a debuttare nella classe regina del Supercross americano nel 2019. Noi abbiamo incontrato Angelo Pellegrini alla Supercross Cup di Brescia dello scorso 20 luglio e lo abbiamo intrattenuto per qualche minuto.
- Sei stato il primo italiano ad accedere al Main Event ed uno dei pochi piloti nostrani a correre in AMA Supercross. Molti, però, si chiedono come possa essere la strada per arrivare a gareggiare in questo campionato, mi spiego meglio, quali sono state le tappe che hai seguito e bruciato per debuttare in AMA ?
E’ un caso raro, diciamo, che un europeo riesca a debuttare in America dopo aver compiuto 20 anni. O meglio, è raro che riesca a debuttare in AMA Supercross e che riesca a fare quello che sono riuscito a fare io. Per correre in America bisognerebbe, prima di tutto, vivere in America. E’ necessario conoscere il Paese ed i suoi ritmi fin da giovani come, del resto, tutti i pro rider.
- Tu hai corso sia nel campionato italiano supercross che nell’Arenacross inglese, quali sono i principali punti di differenza tra la stessa disciplina, il supercross, in Italia, Inghilterra ed America ?
Sicuramente, un primo punto di differenza è la capienza degli stadi. Gli stadi in Arenacross, che hanno una misura molto simile a quello che è lo standard europeo, contengono dalle 7.000 alle 10.000 persone. In America le arene contengono 40.000 anche 70.000 persone. La tipica pista americana è più grande e lunga, le finali durano di più (al posto di 10 minuti, si gareggia per 20 minuti). Un normale circuito americano è lungo quasi il doppio di un qualsiasi circuito europeo. In America è davvero tutto più grande (ride).
- Avevi già avuto modo di gareggiare in America o questa è stata la tua prima esperienza oltre oceano ?
No, ho corso tre anni in AMA Supercross. Il primo anno è stato nel 2012 e gareggiavo nella classe Lites. Mi ricordo che, alla mia prima apparizzione, sono riuscito ad accedere subito al Main Event. Ho corso nel 2017, poi, quando sono entrato nella Storia per essere stato il primo italiano a debuttare in classe 450cc. Sono, poi, tornato nel 2019.
- I piloti americani hanno, nell’immaginario comune, quel tocco di “sfacciatezza” e, si potrebbe dire, di mancato fair play che fa discutere ad ogni loro gara. Sono solo “leggende” o sono davvero piloti “poco corretti” ? Un’altra cosa; spesso, nel momento in cui una manche del campionato mondiale motocross finisce, i piloti si abbracciano e si complimentano. Non sono scene che si vedono spesso, però, in un round di AMA Supercross. I piloti vanno d’accordo fuori dalla pista o la rivalità esiste e persiste ?
La situazione non è molto diversa dal campionato americano a quello mondiale. Sicuramente c’è tensione tra piloti e team per un discorso legato alle rivalità. Vengono attuati grandi investimenti sulle case ufficiali e sui piloti di punta come anche nel mondiale motocross. La tensione è, di certo, più sentita.
- Uno sport che in America ha visibilità pressoché totale, non – di certo – pari alla NBA o simili, ma molto di più che in Italia. Come vedi l’attuale situazione di questo sport nel nostro Paese ? La Supercross Cup nasce come via per dare maggiore visibilità al supercross ?
Si fa un po’ fatica a fare il paragone tra la situazione italiana, ed europea in generale, con quella americana. Io e mio fratello Luca riusciamo ad organizzare un evento che porta ogni anno circa 6.000 persone. Una gara classica ne attira circa 1000. Ciò significa che, a mio personal parere, la direzione gara e gli addetti alla copertura mediatica stanno sbagliando qualcosa. O non stanno dando il 100% per far sì che questo sport abbia la giusta copertura. Non dico che la Supercross Cup farà 100.000 persone ma l’auspicio è di arrivare a raggiungere almeno 10.000 partecipanti.
- Descrivi il supercross in tre parole.
Adrenalina, tensione e soddisfazione.