Il termine “Concept Car” racchiude quelle automobili nate su uno o più temi specifici e che definiscono il limite raggiungibile dalla tecnica nell’epoca di realizzazione. Ora si spiega perchè la Bertone Strato Zero suscitò non poche curiosità quando fu presentata nel Salone di Torino nel 1970: un’automobile molto bassa, alta solamente 840mm, linee tese e molto spigolose e quell’enorme parabrezza che si sollevava per poter permettere l’ingresso in abitacolo erano particolari quasi futuristici, che davano l’idea di un’automobile pensata per il futuro… quasi una piccola navicella spaziale! Anche a livello meccanico c’erano delle soluzioni interessanti: tutti gli organi meccanici furono collocati in posizione ribassata, per non vincolare il designer nella stesura delle linee della macchina. Il motore, preso in “prestito” da una Fulvia HF 1.6, fu messo in posizione centrale, grazie alla realizzazione di un nuovo pianale. Tutte queste soluzioni furono possibili grazie all’esprienza maturata da Bertone con Ferruccio Lamborghini: il sodalizio quadriennale tra i due, aveva vista la nascita di 5 tori scatenati, quali la Miura, Marzal, Espada 400GT, Jarama e Urraco P250…. insomma, robetta non da niente!
Tornando alla Strato Zero, l’abbassamento di tutta la meccanica, Bertone poté realizzare un prototipo dalla linea a cuneo alto solamente 840 mm. L’andamento a triangolo degli sfiati d’aria del cofano motore, la doppia finestratura laterale e soprattutto l’ampio parabrezza-porta in vetro erano tutti elementi destinati a suscitare non poco stupore: per esempio, per accedere ai due sedili era necessario azionare il meccanismo di apertura del parabrezza agendo sulla maniglia nascosta nella parte anteriore della vettura.
La strumentazione era raccolta in un unico pannello appoggiato sul passaruota anteriore sinistro ed evidenziava un disegno avveniristico. Il volante era costituito da un semplice anello rivestito in pelle al cui centro spiccava una sfera in materiale espanso. I sedili anatomici avevano la parte superiore dello schienale ribaltabile: in tal modo risultavano raggiungibili sia il minuscolo vano bagagli sia il ruotino di scorta. La visibilità laterale e posteriore non era stata certo una priorità dei progettisti: il lunotto era infatti di dimensioni a dir poco esigue e il cofano motore, dall’originale motivo alettato a V, ostruiva quasi del tutto la visuale. Anche gli specchietti retrovisori esterni, ricavati nei parafanghi anteriori, avevano una superficie del tutto insufficiente. Per la fanaleria erano state sviluppate soluzioni inedite: anteriormente risaltava un’unica fascia luminosa, larga quanto la vettura, alimentata da dieci proiettori, mentre le luci posteriori formavano un anello che incorniciava il radiatore. In effetti, osservando la “Stratos” si aveva la netta sensazione di trovarsi di fronte a una scultura, a un’astrazione del concetto di automobile piuttosto che a una concreta proposta per l’industria del settore. Alcuni infatti videro in essa un puro e sterile esercizio di stile, quasi una stravaganza.
La Strato Zero affascinò comunque la maggior parte dei visitatori e fra questi un certo Cesare Fiorio, direttore sportivo della Lancia dell’epoca anche se da Torino non ci fù nessun interessamento fino alla primavera successiva, quando l’allora direttore generale della Lancia, Ugo Gobbato, telefonò a Bertone. I due presero appuntamento per il giorno dopo presso la Squadra Corse Lancia e Nuccio Bertone si presentò all’apputamento a bordo della Strato Zero. In quell’occasione i vertici della Casa manifestarono un vivo interesse per la “Stratos” e chiesero al carrozziere di derivarne una vettura che fosse da un lato meno avveniristica e dall’altro adatta ad essere prodotta in serie, sia pur limitata. Nuccio non perse tempo e in pochi mesi sviluppò una nuova coupé equipaggiata, per suo stesso volere, con il motore 6V di 2,4 litri della Dino. Nacque cosi la Stratos, un’automobile realizzata in tiratura limitata, che ha permesso alla Lancia di trionfare nel Mondiale Rally.