Nata dopo una lunghissima gestazione, attesa dagli amministratori dell’Alfa e fortemente voluta dal managment della Casa, la Giulietta è uno dei prodotti più emblematici degli anni Cinquanta. Per realizzarla è stato necesario conciliare l’inconciliabile: far convivere le opportunità imprenditoriali e le necessità di economia di scala con la vocazione e la mentalità dei progettisti, abituati a ideare fino a quel momento solo vetture di lusso e da corsa. La Giulietta è un prodotto pieno di sostanza, costruito da una Casa che in 40 anni è riuscita ad accumulare solo un patrimonio: il valore dei suoi uomini e l’orgoglio di marca. Dopo utili occasionali, è passata attraverso vari difficoltà finanziarie sino a diventare proprietà dell’Iri, quindi dello Stato Italiano. La 1900 è servita a riprendersi dopo la guerra, la Giulietta deve rappresentare la definitiva riscossa. E il successo arriva, determinato dalla ferrea volontà di andare contro le regole. Mai prima d’ora si è vista una vettura tanto potente, ma anche parca nei consumi, con una frenata eccezionale, un bel bagagliaio e un prezzo tutto sommato abbordabile, anche per il grande pubblico. Per capire come il fenomeno Giulietta incide sulla trasformazione della fabbrica del Portello, basta confrontarla con i dati di produzione della 1900: 19 mila esemplari costruiti in nove anni per quest’ultima, 178 mila in nove anni per la Giulietta, prodotta fino al 1965. La berlina prima serie, che appare al pubblico soltanto un’anno dopo la versione coupè, viene ideata nelle sue linee essenziali dall’Ufficio progettazione carrozzeria della Casa, diretto da Ivo Colucci, ex operaio di eccezionali qualità. Caratteristica anomala della carrozzeria rimane la nervatura che slancia la fiancata, tracciata con una notevole obliquità rispetto al suolo e diretta verso l’alto in avanti. In tal modo si è voluto correggere visivamente l’assetto della vettura, troppo alta sul retrotreno. Ovviamente è il motore a fare la parte del leone. Destinato a durare oltre trent’anni nella produzione della Casa, il quattro cilindri tutto in alluminio dalla proverbiale robustezza e gli altri gruppi meccanici hanno caratteristiche progettuali e tecnologiche avanzate, che si traducono in elevato rendimento e stabiliscono nuovi parametri di durata. La Giulietta può percorrere da 80 a 100 mila km senza sostanziali revisioni, quando le vetture della concorrenza arrivano al massimo a 50 mila km. Ovviamente qualche difettuccio anche la Giulietta ce l’ha, come la finitura sommaria, certe connessioni della lamiera non perfettamente levigate, qualche infiltrazione d’acqua. Però non sembrano difetti, quanto segni di energia sportiva, consoni al “caratterino” della Giulietta.
Guidarla è un piacere: croce e delizia degli alfisti, che hanno imparato a sopportare e perdonare, è il rollio in curva, che però non influisce sull’ottima tenuta di strada. Poche le modifiche apportate alla prima serie (prodotta fino al 1959): la più importante è l’aumento della potenza da 50 a 53 cv, mentre a settembre esordiscono il nuovo cambio con sincronizzatori di tipo Porsche e gli attacchi della sospensione anteriore rinforzati. Nel settembre 1959, al Salone dell’Automobile di Francoforte, la Giulietta si rifà il trucco. Meccanica: per ovviare al fastidioso problema di surriscaldamento con relativo vapour lock che la vettura ha manifestato a più riprese, la pompa di alimentazione viene spostata accanto alla parte bassa del monoblocco, praticamente sotto il carburatore. Carrozzeria: il bocchettone del serbatoio è ora inserito nel parafango posteriore destro, ed è dotato di sportellino. Il muso viene ridefinito, con i parafanghi anteriori più bombati, fanali incassati, nuove chiere faro e mascherina anteriore rielaborata con barre orizzontali. I parafanghi posteriori hanno le estremità a pinna e nuovi fanalini con relativo catarifrangente. Interni: molto più curata e rifinita la plancia, con cruscotto portastrumenti allungato. Con un occhio di riguardo per chi viaggia di notte, lo specchietto retrovisore interno è dotato di scatto antiabbagliante.
Due anni dopo, la berlina subisce un nuovo e più importante face-lifting: cambiano in pratica tutti i lamierati, dalle porte ai parafanghi e ai cofani, ora con più ampia apertura. La mascherina anteriore è in un pezzo unico con i ripetitori laterali spostati verso la parte anteriore del parafango. Inedita anche la fanaleria posteriore maggiorata. Sostanziale l’aumento della potenza che da 53 passa a ben 62 cv. Alla fine della sua carriera, la Giulietta eredita anche il motore unificato della Giulia 1300, così come il ponte posteriore e differenziale.
TECNICA
Il gruppo di progettazione dell’Alfa Romeo diretto dall’ingegnere Orazio Satta Puliga comincia a delineare la Giulietta alla fine del 1951. Peculiarità del quattro cilindri in linea è il materiale di cui è composto, l’alluminio, che lo rende particolarmente resistente alle alte sollecitazioni. Le canne dei cilindri sono riportate in ghisa speciale, la distribuzione è a doppio albero a camme in testa, mentre l’albero a gomiti è montato su cinque supporti: rispetto alla concorrenza, tutto un’altro mondo!! Le misure di alesaggio e corsa (74 x 75 mm) rendono il motore praticamente “quadro”. Questo si traduce in una minore sollecitazione degli organi in moto alterno e un’ideale superficie del pistone. Che questo propulsore sia nato leggero, potente e con una forte predisposizione all’aumento delle prestazioni diventa evidente nel 1956, quando arriva la Sprint Veloce: la potenza passa dai 65 cv della Sprint a 79, per salire a 96 nella seconda serie e addirittura a sfiorare i 100 nella Sprint Speciale e nella Sport Zagato. Il cambio in alluminio, dotato di sincronizzatori Borg Warner originali, viene in seguito sostituito da un selettore che gli alfisti definiscono “unificato”: più alto, compatto e leggero, alloggia sincronizzatori Porsche, più silenziosi e resistenti. L’avantreno è a ruote indipendenti, mentre il ponte posteriore si caratterizza soprattutto per l’ancoraggio, con un triangolo quasi centrale. La frenata è garantita da quattro tamburi che hanno il pregio dell’alettatura esterna elicoidale per favorirne il raffreddamento mediante “effetto turbina”, ottenuti con uno speciale procedimento di fusione dell’Alfa Romeo e risultati molto costosi per una vettura media.
ATTIVITA’ SPORTIVA
Il debutto il 6 marzo 1955, le ultime affermazioni significative alla metà degli anni Sessanta: l’essere riuscita a mantenersi competitiva in un periodo di tempo così lungo dimostra la validità della vettura. Sono stati molti i piloti alle prime armi che hanno affinato le loro doti al volante di una Giulietta: tra questi spiccano i nomi dei fratelli Fittipaldi, Giancarlo Baghetti, Arturo Merzario, Jochen Rindt, Ignazio Giunti, Joachim Bonnier. Poi, gentlemen driver e piloti dilettanti, spesso dotati di ottime qualità, come Carlo Mario Abate, Sergio Pedretti (“Kim”), i fratelli Leto di Priolo, Jean Rolland. Ma torniamo al giorno del debutto, quel 6 marzo 1955: si impone nella categoria 1300 Sport la Sprint di Luciano Ciolfi alla Giornata dei Primati, che si svolge a Castelfusano, nei pressi di Roma. Il successivo 3 aprile la vettura viene omologata nella classe Gran Turismo. Nella sua prima stagione la Sprint deve accusare parecchie sconfitte contro le più veloci Porsche 356 e Fiat 1100, pure carrozzate da Zagato. Soltanto a partire dall’anno successivo, con l’esordio della Sprint Veloce e della Spider Veloce, l’Alfa torna a tagliare vittoriosamente il traguardo di classe in diverse occasioni. Le prestazioni brillanti, l’ottima tenuta di strada e una frenata eccezionale la rendono una scelta praticamente obbligata per chi si vuole cimentare nel mondo delle corse. La classi 1300 Turismo e Gran Turismo diventano quasi un trofeo monomarca con gare spesso caratterizzate da duelli all’ultimo sangue, anche perchè, con pari prestazioni, è l’abilità del pilota a decretare il successo finale.