La Macchina del tempo di Giornale Motori ci inchioda agli anni 60 del secolo scorso. Abbiamo annunciato il ritorno del glorioso marchio della Brabham. Nel 1966 fu proprio il due volte campione del mondo Jack Barabham diventato costruttore a coronare il suo sogno di diventare per la terza volta campione del mondo con una monoposto costruita da lui. La Brabham-Repco BT19 diventa la prima ed ancora oggi unica monoposto che porta il nome del campione del mondo piloti. Il 1966 è un momento di cambiamento quasi radicale del campionato del mondo di F1, la modifica regolamentare più importante riguarda il cuore della monoposto il propulsore che dovrebbe cambiare da 1500cc compresso a 3000cc aspirato.
Il condizionale è d’obbligo perchè come successo spesso nella storia della F1, almeno fino ai tempi più moderni, quando c’è stato un cambiamento così radicale di uno degli aspetti più importanti del regolamento si è sempre optato per una fase iniziale ibrida in cui il vecchio si faceva coesistere con il nuovo, questo per dare il tempo a tutti di adeguarsi, o di poter scegliere se abbracciare la nuova filosofia o essere conservativi sulla vecchia, tanto le corse hanno una sola regola, se c’è una monoposto vincente tutti gli avversari andranno tecnicamente in quella direzione. Basti pensare che anche nell’era delle moderne power unit si era penato ad un passaggio graduale tenendo per i piccoli team o chi ne facesse richiesta la motorizzazione V8 Hybrid con Kers, ed anche recentemente si era pensato ad una motorizzazione unica V8 con la collaborazione di Cosworth.
Il motore fu comunque protagonista dell’intera stagione. La Lotus era uno dei top team all’epoca, ma essendo un garagista come lo definiva Enzo Ferrari, Colin Chapman doveva scegliere con quale propulsore fare la stagione. Alla fine fra BRM V8 e H16 di cui parleremo in modo approfondito più avanti, oppure i vecchi Climax V8 1500cc, abbe una serie di indecisioni tecniche che diedero il vantaggio agli avversari. La stessa Ferrari iniziò con il 1500cc compresso a sei cilindri, per poi proseguire con il 3000 litri V12, un’incertezza unita ad una certa inaffidabilità giovanile che limitarono il team di Maranello. Molto intelligente fu la scelta di Jack Brabham ed il suo direttore tecnico Ron Tauranac di optare per la soluzione Repco. L’azienta di produzione meccanica australiana, costruiva il monoblocco V8 in lega leggera per le vetture Oldsombile di serie. Il motorista australiano adattò tale monoblocco al nuovo regolamento tecnico della F1. Ne uscì un motore tecnicamente semplice, non potentissimo, ma estremamente resistente.
L’affidabilità del Repco, consente all’outsider Black Jack Brabham di vincere quattro gare di fila in Francia, Gran Bretagna, Olanda e Germania. Un vantaggio che consentì al già due volte campione del mondo australiano di battere il fortissimo e predestinato Jim Clark che pagò le indecisioni di Chapman e la Lotus. Il Gp di Montecarlo gara di apertura del mondiale fu vinto da un altro giovanotto arrembante scozzese Jackie Stewart, lo stesso che poi a Spa-Franconchamps ebbe un terrificante incidente da cui ne uscì abbastanza bene da poter continuare la carriera. Un evento che però segnerà lo stile del pilota scozzeso, uno dei paladini da quel momento e negli anni a seguire della sicurezza dei piloti in pista. Al Gp Belga sarà la Ferrari ad imporsi, un tracciato di potenza pura sarà la fortuna di John Surtees già campione del mondo a Maranello due anni prima, ma sarà anche l’ultima visto che il pilota britannico lascerà la Ferrari in evidente rottura. A vincere a Monza, altro tracciato di potenza, fu invece l’italiano Ludovico Scarfiotti con la collaborazione del compagno Mike Parkes che fece gioco di squadra a favore dell’italiano.
Quella di Sacafriotti fu una vittoria entusiasmante. A Monza la vittoria di un italiano mancava da ben 14 anni, l’ulitma fu l’affermazione del 1952 di Ascari, e pittoresco fu che tra tanti formulisti puri fu uno specialista delle ruote coperte come Scarfiotti a rompere il digiuno. Bisogna dire che la Ferrari pagò il ritardo di inizio stagione utilizzando la monoposto Dino 246 F1. La 312/66 che la sostituì aveva abbastanza doti per consentire al team di Maranello di poter almeno puntare al mondiale Costruttori. Infatti la rottura traumatica di Surtees fu pagata cara dalla Ferrari. Il campione del mondo 1964 corse gli ultimi due Gp con una Cooper T81 motorizzata Maserati raccogliendo un podio negli Usa, e una vittoria in Messico conquistando il secondo posto nel campionato piloti. Se avesse corso le due ultime gare con la Ferrari aggiungendo la probabile vittoria di Monza che andò facilmente a Scarfiotti, la Ferrari, facendo un rapido conto matematico avrebbe comunque vinto il titolo piloti, segno che da sempre a Maranello ci sono momenti in cui le vicende umane sono hanno un peso eccssivo sulle vicende sportive.
Al fuoriclasse Clark comunque va il merito di aver portato alla vittoria la Lotus 43 con la motorizzazione BRM H16. Per la prima volta un motore con un frazionamento simile vince un Gp di F1 dal 1950 anno in cui è stato fondato il campionato del mondo. Il motore BRM H-16, era un motore a sedici cilindri orizzontali con quattro bancate di quattro cilindri poste in modo da formare la lettera H dell’alfabeto. Il vantaggio maggiore stava nel bilanciamento complessivo che questa configurazione comportava. In poche parole i motori venivano disposti uno supra all’altro. I motori mantenevano ognuno il proprio albero motore, che poi venva unito attraverso un ulteriore sistema cinematico che portava potenza al cambio e successivamente alle ruote. La complessità del propulsore consentiva di avere un numero maggiori di cilindri avendo l’ingombro paragonabile a quello di un normale V8, con notevole vantaggio per l’utilizzo sulle monoposto potendo contare anche un rapporto peso potenza vantaggioso rispetto alle altre motorizzazioni. Il vero problema di questo motore fù la sua precaria affidabilità. Jakie Stewart che in forze alla BRM lo definì un motore adatto più ad una barca o una nave piuttosto che per vetture da corsa, ma comunque grazie al talento indiscusso di Jim Clark ed alle buone doti di telaio della sua Lotus 43, questo propulsore trovò la sua rivincita nella vittoria del Gp degli Stati Uniti a Watkins Glen, affermazione che fu anche l’ultima.
Daniele Amore