Una piccola premessa: ogni volta che mi trovo a dover fare un’analisi di quanto accaduto in gara mi scontro con me stesso. Da un lato ci sono i lettori innamorati della motocicletta che vogliono capire come funziona ogni dettaglio, dall’altro c’è un certo numero di personaggi che sull’argomento moto ci hanno costruito la loro fortuna e che troppo spesso non si limitano a vestirsi con le penne del pavone ma se le rivendono facendoci cassa.
Mi rendo conto che, per rispetto di me stesso e del mio pluridecennale lavoro, la cosa più corretta da fare sarebbe quella di evitare di regalare i frutti dei miei studi a chi ne approfitta per riciclarsi come esperto – a pagamento, si capisce – senza quella competenza che deriva dall’aver poggiato le proprie chiappe su una sedia davanti ai libri di Fisica per un tempo sufficientemente lungo e con sufficiente profitto; d’altra parte, farei un torto a chi è consapevole che la narrazione mainstream fa acqua da tutte le parti ed è necessario un approccio più razionale, al di là delle consolidate superstizioni da officina.
Detta in soldoni, siete ormai in parecchi ad aver capito che la Fisica non la si assorbe per osmosi dalle pareti di un box o dalla frequentazione del giro di quelli che vanno forte, e nel vedere i commenti e i ragionamenti di tanti lettori che si fanno domande e si pongono con spirito critico davanti agli aspetti più tecnici della motocicletta mi convinco che il gioco vale la candela. Si fottano i profittatori, personaggi mediocri nell’anima prima ancora che nella professione.
Ebbene sì, le gomme. Per qualche imperscrutabile ragione tutti gli anni ad Aragon si finisce sempre per fare una sintesi dei problemi che riguardano le gomme, e i commenti nel dopogara lo dimostrano. Devo dire che, chi più e chi meno, in tanti “ci avete preso” pur nella semplicità dei ragionamenti. Il che non è un male, ma mi costringe a spostare l’asticella più in alto e analizzare l’origine di alcuni di essi nella convinzione che ciò possa confermare il modello qualitativo che in un modo o nell’altro siamo riusciti a trasmettervi. Dunque, eccoci qua.
Rispolveriamo qualche concetto ormai trito e diciamo subito che il grip dipende dal coefficiente di attrito tra l’asfalto e la gomma e dal carico verticale sulla gomma stessa. E’ un’osservazione semplice, ma dalle applicazioni non banali: posto che le moto pesano più o meno tutte uguali, proviamo a esaminare le conseguenze e a ragionarci sopra.
Quando in accelerazione si arriva all’impennata l’intero peso della moto grava sulla gomma posteriore, così come capita nelle staccate più feroci per quanto riguarda l’anteriore. Questo significa che, a parità di asfalto e di mescola, al limite del ribaltamento tutte le moto hanno lo stesso carico verticale e dunque lo stesso grip.
Le differenze tra una moto e l’altra riguardano il transitorio, ovvero il modo col quale partono dal loro normale grip statico – nel quale su ogni gomma grava solo la quota di pertinenza dell’intera moto – e arrivano alle condizioni, uguali per tutti, in cui su una singola gomma si scarica tutto il peso totale. Ci interessa cioè la variazione dei carichi, in modo da poter valutare se la gomma scelta sarà in grado di sopportare le forze orizzontali che noi applicheremo sul punto di contatto. In pratica, studieremo come variano i carichi verticali sulle gomme man mano che applichiamo forza (dando gas o strizzando il freno) augurandoci che questi carchi siano in ogni istante sufficienti a garantirci il grip che chiediamo.
Partiamo dall’anteriore. Posto che al culmine della frenata tutte le moto hanno lo stesso carico verticale sull’anteriore, l’unico problema è il carico di partenza. Cioè il carico statico. Le moto con l’avantreno più leggero sono costrette a iniziare la frenata in modo più progressivo, poi il carico cresce e non ci saranno più problemi: per capirci, in una frenata a moto dritta, tipo la staccata alla San Donato, ben difficilmente ci troveremo nei guai, soprattutto se il progettista ha scelto il diametro/spessore dei dischi e la mescola delle pastiglie in modo da avere un attacco più morbido e una frenata sempre più imperiosa man mano che i dischi vanno in temperatura. Tipico delle vecchie Ducati e della Honda attuale è proprio questo dettaglio: l’attacco ai dischi non è particolarmente deciso ma la frenata profonda è di tutto rispetto.
Le cose cambiano se non abbiamo frenatone lunghe a moto dritta. In questo caso ci serve la possibilità di pinzare in modo efficace per pochi metri con la moto in mezza piega: nelle fasi iniziali però dobbiamo fare i conti con un basso carico a fronte di una richiesta di grip elevata, e questo ci obbliga ad utilizzare una mescola più soffice per riportare il coefficiente di attrito a valori accettabili pur con carichi ridotti. Trascurando il problema delle traiettorie per il quale sulle curve più lente la parte anteriore della moto è soggetta a forze centrifughe superiori (per chi non gli avesse letti vi consigliamo i due pezzi sul sottosterzo: “Dove nasce il sottosterzo” PARTE 1 e PARTE 2), il problema del grip è già sufficiente per capire che la Honda ad Aragon non poteva montare una anteriore hard.
Marquez ce l’ha fatta per il rotto della cuffia, ma chiunque ha potuto vedere la differenza con un Pedrosa al quale sarebbe bastato qualche giro in più per passare sul suo caposquadra. Crutchlow invece si stende: impossibile frenare con basso carico in mezza piega, e senza frenata la gomma resta fredda. La scelta per Honda era tra una media e una soft, ma le condizioni della pista con qualche avvallamento di troppo finiscono per sconsigliare gomme con pressione alta, troppo sensibili e bizzose sulle ondulazioni, e la ragione impone una media con due decimi in meno.
Simmetricamente le moto con un elevato carico statico anteriore sono in grado di frenare efficacemente già all’attacco dei dischi e riescono a scaldare la gomma anche laddove non ci siano frenate particolarmente lunghe. La sospensione anteriore di queste moto sopporta variazioni di carico globalmente inferiori, e questo avvantaggia la forcella che in presenza di buche si comporta in modo assai più lineare: di conseguenza la scelta tra la hard e la media può essere fatta sulla base delle variazioni di temperatura del fondo, con la preferenza verso la media man mano che nel corso della giornata l’asfalto si scalda.
Bizzarra la scelta di Zarco, con una soft sull’anteriore che fa pensare a una pressione piuttosto alta e a un assetto molto basso con pochissimi trasferimenti di carico. Alla fine della fiera, la scelta di anteriore corretta qui ad Aragon era una media con pressione di gonfiaggio adeguata su ogni moto in modo da ottenere la migliore temperatura.
Discorso più delicato sulla posteriore, soprattutto perché la corrispondenza istante per istante tra carichi verticali e grip necessario non la si risolve con le pastiglie. Il transitorio posteriore è molto più complesso e i parametri su cui intervenire sono davvero tanti, ma su tutti ne emergono tre in particolare: il carico statico posteriore, i trasferimenti e quindi l’altezza della moto e infine la reazione del link posteriore. E qui ci tocca prendere il toro per le corna e spiegare per sommi capi a cosa si va incontro quando, nel tentativo di sfruttare in modo eccessivo i carichi di reazione, si esagera con le geometrie.
Consideriamo due motociclette con differente distribuzione dei pesi e di conseguenza con diverso carico statico sulla ruota motrice, e solo per caso useremo la linea azzurra per quella con centraggio più avanzato e quella rossa per quella col centraggio arretrato: ciascuno si senta libero di usare l’arancione al posto del rosso, se lo ritiene.
Escludendo le reazioni del link posteriore, per esempio nell’ipotesi di un telaio rigido come le Harley Hardtail, se immaginiamo di applicare progressivamente potenza a partire da un’andatura costante – per esempio uscendo da una curva lunga percorsa a velocità costante – avremo un carico sempre maggiore man mano che apriamo il gas e il trasferimento si somma al carico statico, ma balza all’occhio la differenza: il carico disponibile sulle moto col centraggio più avanzato è inferiore, e questo impedisce rapidi incrementi di potenza in accelerazione. Un eccesso sulla manopola del gas comporta la perdita di aderenza in quanto la gomma posteriore non risulta sufficientemente schiacciata contro l’asfalto.
In anni non troppo lontani molti cronisti evidentemente non troppo esperti di Fisica e di progettazione imputavano alla Ducati un supermotore leggendario e alla Yamaha una carenza di cavalli senza rendersi conto che in qualunque pista e da qualsiasi curva ogni moto può accelerare solo quanto le permette il suo grip; e se oggi in MotoGP ci pensano i sistemi elettronici, in altre categorie i piloti sono obbligati a parzializzare le farfalle dosando con cura il gas per impedire che la potenza del motore superi il grip disponibile. Ergo, qualunque motore è “troppo”, Yamaha compresa. La differenza la fa il grip, punto.
Come risolvere il problema della Yamaha senza rinunciare ai vantaggi di percorrenza e di agilità tipici di un baricentro più alto e avanzato? Il sistema più semplice è utilizzare una mescola più soffice, capace di garantire lo stesso grip della concorrenza anche in presenza di un carico verticale inferiore, ed è esattamente quanto faceva sistematicamente Lorenzo quando correva per la casa giapponese.
Altri preferivano sollevare molto l’assetto della propria moto per accentuare i trasferimenti di carico, ottenendo come effetto collaterale un extracarico di reazione. In cosa consiste? Consiste in quello che semplicisticamente alcuni chiamano tiro catena ma che in realtà è un fenomeno molto più complesso e ben noto in Formula Uno: probabilmente in molti avranno sentito durante le prove libere qualche pilota o qualche direttore tecnico esprimersi più o meno con le parole “abbiamo problemi di trazione nelle curve lente e dobbiamo individuare l’assetto giusto per migliorare l’accelerazione”.
Nelle Formula Uno non esiste il carrello posteriore, non si possono arretrare o avanzare le ruote a piacimento, né si può cambiare l’altezza da terra senza compromettere l’intero progetto aerodinamico del sottoscocca. E gli alettoni nelle curve lente non servono a nulla. Dunque?
Non resta che agire proprio sulla geometria della sospensione per ottenere quelle reazioni dinamiche che nelle due ruote sono associate alla catena ma che con la catena c’entrano solo in modo accidentale. Nel fenomeno infatti sono coinvolti tantissimi parametri, tra i quali:
- la posizione relativa tra asse posteriore, pivot e pignone secondario
- le masse sospese posteriori
- lo sbraccio della linea di forza del forcellone rispetto al baricentro
- l’accentramento delle masse
- la molla posteriore
- l’idraulica posteriore
- la posizione del forcellone istante per istante
- la lunghezza del forcellone
- la progressività dei leveraggi del link
Senza entrare nel merito delle reciproche influenze tra i diversi parametri, sui quali non possiamo agire liberamente in quanto ognuno di essi influenza pesantemente anche altri aspetti fondamentali – basta pensare a molla e idraulica che se da un lato ci consentono di controllare l’assetto del link e dunque l’extracarico di reazione, dall’altra devono restare in grado di assorbire buche e avvallamenti senza perdere contatto col suolo – in prima approssimazione vale la regola che l’extracarico di reazione cresce man mano che solleviamo la moto sulle sospensioni.
Questo extracarico, contrariamente al carico statico o a quello di trasferimento, si genera appena diamo gas, prima ancora che la moto inizi ad accelerare, e dura pochi istanti nei quali, se i calcoli sono corretti, potremo accelerare tanto da incrementare i trasferimenti di carico innescando un processo iterativo che ci consente di conservare i benefici dei trasferimenti per tutta la durata dell’accelerazione. Ma a una condizione: non superare mai il grip disponibile, né durante i primi istanti né nella successiva accelerazione, pena la perdita totale dell’extracarico fin lì ottenuto. In questo caso l’andamento dei carichi posteriori corretti dalla reazione del link posteriore diventano pressappoco come la linea blu.
Abbiamo recuperato un bel po’, vero? Ma attenzione: nel momento in cui si perdesse aderenza (in un impeto di esuberanza del pilota o a causa di una regolazione troppo ottimistica dell’antispin) ci ritroveremmo di colpo col solo grip del carico statico e con parecchi problemi, come vedremo in seguito.
Per il momento lasciamoci trascinare dall’entusiasmo e proviamo a insistere: col fondo adatto l’extracarico diventa così evidente che potremmo addirittura usare la gomma hard, con la carcassa ben schiacciata al suolo per pochi istanti e la sensazione di poter scaricare cavalli in quantità.
Mai come in questo caso vale il principio che più in alto si sale e più l’eventuale caduta diventa rischiosa. Se noi isoliamo e ingrandiamo il solo contributo della reazione del link rispetto al tempo, i due grafici sarebbero più o meno così:
Nella ricerca dei carichi di reazione, ad un link più esasperato corrisponde un tempo utile sempre più ridotto, tanto da diventare comparabile coi tempi totali di reazione di molti antispin: e questo non soltanto determina una oggettiva difficoltà nella messa a punto dell’elettronica della moto ma compromette anche la reale efficacia dei controlli di trazione quando si va a cercare il limite.
Nel momento in cui noi superiamo il grip totale (carico statico + trasferimento + reazione) anche di poco, il trasferimento e il carico di reazione crollano a zero con una riduzione del grip tanto più brusca quanto più avremo sfruttato gli incrementi dinamici del carico. Se presi dall’entusiasmo avevamo progettato un link con elevati extracarichi ci ritroveremo una moto difficilmente controllabile, con la ruota posteriore che una volta persa l’aderenza non vuol più saperne di riprenderla: ormai il grip che ci resta è solo quello statico, e nel caso di centraggi avanzati è davvero basso.
Trascurando il fatto che il battistrada si rovinerà in pochi giri a forza di slittare sull’asfalto e l’accelerazione è destinata a peggiorare ulteriormente – come per esempio è successo a Jerez e lo abbiamo spiegato QUI – un simile comportamento non consente al pilota di derapare in sicurezza o di accelerare con profitto fuori dalle curve, e questo problema si accentua in modo drammatico al peggiorare delle condizioni dell’asfalto, per esempio su piste scivolose o bagnate.
In termini puramente matematici esistono parametri ben precisi che descrivono il limite di ogni link, e quando noi assumiamo che la perdita di aderenza sia brusca in realtà commettiamo una semplificazione che ci impedisce di trattare col necessario rigore il problema del calcolo. In natura le soluzioni di continuità sono solo apparenti e l’aderenza non fa eccezione, e questo ci permette di arrivare a determinare che nella funzione che descrive l’incremento di carico al crescere della potenza applicata lo studio della derivata seconda fornisce tutte le necessarie indicazioni affinchè in sede di progetto si resti entro valori accettabili, avvertiti dal pilota come “comportamento sufficientemente progressivo” nella perdita di trazione. Non è il caso di addentrarci in uno studio di questo tipo, ma sappiate che gli strumenti ci sono.
Tutto il contrario naturalmente si verifica nelle moto driftarole, la cui sospensione posteriore si comporta in controreazione o, se preferite, in modo anticiclico rispetto alla potenza applicata. Gran parte del problema che oggi riscontriamo sulla Yamaha 2017 è dovuta proprio al comportamento ciclico del suo link che le rende difficile individuare la corretta mescola per ogni gara: se il link lavora nei suoi limiti, la moto pare utilizzare una mescola hard senza problemi, ma appena si lavora all’estremo del campo di esistenza indicato dalla derivata seconda i carichi si abbassano a tal punto che ci vorrebbe una soft. E basta un’elettronica un po’ troppo disinvolta per ritrovarsi in tali situazioni.
Tutto questo fa pensare che qui ad Aragon sulla Yamaha convenisse abbassare un po’ l’assetto rinunciando a un po’ di extracarico e compensando con una media per non ritrovarsi a fine gara nelle condizioni in cui il link rende la trazione troppo scorbutica e delicata.
In casa Ducati ce l’avevano quasi fatta. Posto il fatto che pure lì la media con un assetto appena più alto sarebbe stata la scelta principe, la soft sulla moto di Lorenzo ha resistito quasi tutta la gara. Quasi. Ma siccome le gare si vincono sul traguardo, probabilmente una pressione maggiore avrebbe evitato alla mescola di degradare e di perdere trazione nei giri finali. Se le ondulazioni della pista avessero reso la moto troppo ballerina con due decimi in più sulla posteriore, allora si sarebbe dovuti passare alla media: e questo è stato il solo errore commesso durante le prove, non aver sondato strade diverse quando il termometro infrarossi segnava una condizione di carcassa molto vicina al limite superiore del range termico.
Tutto questo, ovviamente, nell’ipotesi che i freni idraulici delle sospensioni fossero adeguatamente regolati, dato che nella progressione dei carichi verticali dinamici essi rivestono un’importanza fondamentale soprattutto nella prima parte delle fasi di transizione. D’altra parte non è così scontato: le sospensioni oltre a controllare l’assetto in transizione servono anche ad altro. Tipo assorbire le buche, per dire. Ma io sono ottimista per natura e son convinto che prima o dopo a qualcuno verrà in mente di separare le funzioni. Nel frattempo ci arrangeremo come possiamo e cercheremo di accordare le gomme sui carichi verticali della nostra moto. Armonizzare, diceva un certo Furusawa.
Applausi!!! non ho altro da dire, applausi!! qui si riesce a capire anche perché zarco con la 2016 riesce a fare dei deraponi, le Yamaha 2017 basta poco che ti sparano via.
Non scherzavate nel dire che questo debriefing era da incorniciare.
Il Dovi come mai ha faticato? Moto alta con gomma soft?
Micky: forse moto troppo bassa…che richiede troppo dal pnto di vista trasversale.
Vi chiedo questo: DIFFONDETE QUESTO PEZZO PERCHE’ E’ UNA CHICCA
@Sme condivisione fatta, pezzo memorabile!!! Come ho scritto sul mio post, questa volta avete cominciato a calare qualche asso, giusto per dare una tiratina di orecchie (o qualche sberla) e far capire la differenza fra ingegneri e diffusori di notizie (errate).
E se questa volta sono riuscito a seguire e capire le vostre spiegazioni significa che avete fatto un lavoro immenso e comprensibile pure alle menti tarate.
proprio un articolo super.
Federico, ti andrebbe di spiegare cosa comporta sulla moto una differenza di stile di guida alla Marquez (tutto fuori in curva) e alla Dovizioso (piu’ sulla sella)?
Il link posteriore, questo oscuro………..
Federico quando dici separare le funzioni intendi fisicamente, con una meccanismo per ciascuna?
Sì, non sta scritto da nessuna parte che il sostegno idraulico sia la sola cosa capace di creare carico a prescindere dalla posizione della forcella. Ci sono altri sistemi assai più razionali che potrebbero non coinvolgere la cartuccia deputata allo smorzamento delle asperità. Così la finiremmo di vedere improbabili valvole interne che si aprono a suon di colpi per rimediare alla intrinseca rigidità di un sistema costretto a utilizzare la pressione interna per controllare l’assetto.
Mi associo ai complimenti. Uno dei migliori debriefing di sempre.
Ora va metabolizzato, tanta carne al fuoco questo giro!
Bellissima spiegazione, complimenti
questo si’ che e’ parlare, ops, scrivere!
una domanda ad una questione che mi sono sempre posto, alla luce di quanto esposto e visto che si accelera a moto ancora piegata , con la moto “normale” e/o con una racer (sbk, motogp) e’ piu’ pagante accelerare ancora molto piegati ma con piu’ velocita’ (tipico di una curva rotonda alla Lorenzo) o “spigolare” (ovvero accelerare in uscita con minore velocita’ ma a moto piu’ dritta) ??
ovviamente mi serve saperlo per la prossima vita ! quindi non ho fretta ! 😛
Molto bello, ma pechè non si parla mai di un dato secondo me molto importante per le gomme: la pressione di gonfiaggio??
Da quello che sono le mie poche conoscenze, variare la pressione di gonfiaggio può portare a risultati totalmente estremi con la stessa gomma.
Ciao Oscarrd600: in verità ne parliamo molto spesso quando trattiamo di gomme. Anche in questo pezzo si parla di mescole che possono essere usate aumentando o abbassando la pressione di uno o due punti.
Considera che in MotoGP però sono limitati anche in quello, la michelin comunica una pressione minima sotto la quale i team non possono andare
in fondo , Furusawa ,era quello che diceva a Preziosi ;”Sient’amme” ……
Ciao SME, quindi in motoGP c’è una regola che limita il “gioco” sulle pressioni di gonfiaggio??
Pensavo ad una gomma hard bella sgonfia come potesse andare…
Oscar abbassare molto la pressione su una gomma hard potrebbe essere pericoloso e controproducente. Se la abbassi di qualche punto perché sei in una condizione di asfalto e temperatura che è a filo tra media e hard è un conto, ma se la abbassi troppo quando magari si è condizioni di piena soft potresti avere un surriscaldamento della mescola con relativo dechappaggio.
La carcassa si scalderebbe molto perché si deforma più del previsto e la mescola e gli strati inferiori si ritrovano con un extra calore da dover smaltire. Se non ci riescono la gomma surriscalda e accadono i casini 😉
Forse si poteva osare di più con le vecchie Bridgestone perché avevano un bilancio termico eccellente e anche un’ottima trasmittanza degli strati, con le Michelin di adesso mi sa che ti capita come Redding in Argentina lo scorso anno
Complimenti per questo debriefing, grazie mille per il lavoro che fate.
Spiegare cose così tecniche non è facile, ma addirittura riuscire a spiegarle in modo che anche un asino come me possa capirle è fantastico.
Nel frattempo ci hanno pure intervistati
http://www.superscommesse.it/notizie/giornale_motori__un_sito_dedicato_ad_auto_e_moto_e_che_mette_la_tecnica_al_centro_del_discorso-10939.html
Analisi molto interessante, come sempre
sarebbe possibile approfondire il discorso della separazione delle funzioni di ammortizzatore e controllo assetto ?
leggendo l’articolo, la prima cosa che mi e’ balzata alla mente e’ stata di applicare qualche sistema che modifichi la geometria del retrotreno adattandola alla necessita’ di extragrip, oppure alla conservazione delle gomme
altra strada, e’ quella di poter recuperare un eventuale spinning, con conseguente annullamento dell’extra carico indotto sempre modificando la geometria del retrotreno.
mi rendo conto che tali interventi non sono cosi’ agevoli da effettuare in tempi brevissimi dati dalle necessita’ momento per momento, ma si potrebbe pensare, inizialmente, ad un sistema che renda più attivo il link per garantire extra carico a gomme nuove ed attenui il suo effetto man mano che il consumo delle gomma deteriore le condizioni di lavoro.
mi scuso per la superficialità’ con cui approccio l’argomento, ma mi piacerebbe capire se cio’ e’ possibile, o in che misura, concettuale, potrebbero essere evolute le ciclistiche delle motogp, per superare i limiti attuali
Alex Ax: cosa intendi con “qualcosa che modifichi la geometria del retrotreno”?
Il link posteriore è esso stesso un sistema di geometria posteriore
Salve a tutti !
Anche io desidero ringraziare Federico per questo debriefing ma soprattutto per il fatto che abbia ancora voglia di condividere con altri le sue conoscenze !
Lavoro impagabile che distingue Federico e indirettamente Giornale Motori da TUTTI gli altri !
Spero vivamente che questa “voglia” non gli passi mai !!
Detto questo vorrei, SE POSSIBILE, qualche chiarimento e qualche informazione in più (anche con dei disegni magari) riguardo lo sbraccio della linea di forza del forcellone rispetto al baricentro.
Grazie ancora Federico !
Grazie a tutti per l’apprezzamento. Nel merito delle domande: sì, sul link è possibile fare più di qualcosa (regolamenti permettendo, e ad oggi nulla vieta di farlo) anche se i criteri sarebbero un po’ differenti da quelli indicati. E anche la forcella potrebbe evolvere in modo più razionale. Spiacente, ma non posso entrare in ulteriori dettagli per evidenti ragioni.
Per lo sbraccio: prolunga verso avanti la linea che congiunge asse posteriore e pivot, lo sbraccio è la distanza del baricentro effettivo da quella linea.
“lo sbraccio è la distanza del baricentro effettivo da quella linea.”
il cui valore cambia continuamente a causa della variazione della posizione del baricentro data soprattutto dalla variazione della posizione del pilota sulla sella.
poi cambia anche a seconda della corsa delle sospensioni e del carico di benzina. un baricentro che non sta mai fermo 🙂
Da qui l’importanza di settare la moto sulla base della posizione assunta dal pilota in uscita di curva, così da ottenere il comportamento voluto nella situazione più critica.
Ammazza che debriefing!!! Questa volta è tanta roba, difficile metabolizzare al 100% alla prima lettura. Grandi come sempre GM e Federico 😉
e come fanno a rilevare la posizione esatta del pilota?
lateralmente mi viene da pensare alla differenza tra inclinazione baricentro e inclinazione moto, ma fra davanti e dietro?
o fanno delle prove a moto ferma?
La definizione di massima si fa a moto ferma. Fermissima. Pensa che la prima valutazione è fatta sulla carta, mentre si gettano le basi del progetto. Le differenze tra un pilota e l’altro non è indispensabile calcolarle: è sufficiente dedurle dagli effetti in modo da poter risalire alle cause e correggere quanto va corretto in sede di setting. Insomma, occorre saper leggere le gomme e poi da lì risalire alle forze che son state applicate, operando sui parametri della moto per riportare le forze applicate alle gomme nel range previsto.
federico , nei tuoi calcoli e/o considerazioni del trasferimento di carico ed extragrip , l’altezza del baricentro a moto piegata segue la “piega” della moto oppure e’ perpendicolare al terreno come a moto dritta??
si capisce la domanda?? spero
Bè, sono tutti vettori. La posizione del forcellone dipende dai carichi assiali alla moto, i trasferimenti solo per la relativa quota. Questo significa che a moto piegata i trasferimenti contano meno. Basta, ho detto già troppo 🙂
Si capisce la risposta? 😉
si capisce bene, in una ipotetica piega a 90 gradi il forcellone non sente piu’ il trasferimento di carico perche’ questo e’ dato dalla forza di gravita’ che e’ sempre verticale.
tutto il lavoro rimane a carico delle gomme. ecco che a moto piegata la pressione delle gomme diventa fondamentale non solo relativa al calore ma anche al sistema “sospensione della gomma”.
Non confondere i pesi con le masse, Jo. Il trasferimento dipende dall’accelerazione delle masse e non cambia molto. Ovviamente in piega abbiamo trasferimenti inferiori perchè il grip è tutto impegnato nella piega, e per l’accelerazione ne resta pochino: ma il trasferimento andrebbe comunque sulla gomma. Il punto è che in piega il carico sulla sospensione è già doppio, e il contributo del trasferimento diventa proporzionalmente meno significativo. Ci resta l’extracarico di reazione, e lì dobbiamo stare molto attenti: da quello dipenderà quanto trasferimento riusciremo a ottenere.
intendevo dire il trasferimento di carico che sente la sospensione.
piu’ pieghi e meno la sospensione si accorge del trasferimento di carico. a 90 gradi di piega la sospensione si accorge solo delle variazioni di grip, il vettore carico (sempre verticale) sarebbe nullo nella direzione di lavoro della sospensione. l’extra-grip funziona tanto meglio quanto la moto e’ verticale, giusto?
No, il trasferimento di carico è qualcosa di dinamico che deriva dalla resistenza delle masse ad accelerare: non agisce verticalmente ma sul piano dove giacciono le forze e i bracci. Quindi il trasferimento di carico si inclina insieme alla moto. Solo la forza di gravità resta verticale, ma il trasferimento dinamico non deriva dalla gravità: deriva solo dalle masse e si verificherebbe anche nello spazio in assenza di gravità.
hai ragione 🙂
Quindi se ho ben capito, accelerando in piega , grip residuo permettendo, cambia solo che il baricentro e il pivot rispetto alla moto dritta sono più bassi: per lo schiacciamento delle sospensioni.
Altresí un allegerimento ecessivo delle massa anteriori in piega ed accelerazione richiede molto grip anteriore… (e un momento giusto per accelerare)
Un bel grattacapo , una coperta corta che verosimilmente si può ottimizzare con un linck perfetto ed un Stoner in forma!
Acceerando in piega però, dato che il trasferimento è inclinato quanto la moto, possiamo scomporre il trasferimento in due momenti ortogonali, verticale ed orizzontale. Quello verticale è responsabile dell’alleggerimento mentre quello orizzontale è responsabile dell’imbardata rispetto alle stelle fisse. Imbardata che, se il momento è giusto – ovvero lo sbraccio, ovvero il centraggio – è quella che ci tiene in curva a ruota anteriore sollevata. Proprio come spiegavo nel pezzo da te ricordato. Se non è sufficiente occorre sporgersi per accrescere il braccio del momento orizzontale a scapito di quello verticale in modo da ritrovarci nella condizione che avevamo definito “il sidecar virtuale”
Divertente, vero? 🙂
Spero non mi abbia visto nessuno…. ma tenendo fermo il telefonino piegato in un punto a nord in modo da mimare un baricentro restio ad accelerare… e spingendo sull’angolo inferiore mimando la ruota che spinge…succede proprio così. ..
Sperando non mi abbia visto nessuno veramente… mi sono pure divertito… 😛
Smeriglio, intendevo qualche sistema che “correggesse” la curva di progressione del link durante la gara
per adeguarla alle diverse risposte degli pneumatici o per preservare di più gli stessi.
sono convintissimo di non riuscire a spiegare al meglio i concetti che ho in mente ma
immagina un link di tipo A e un link di tipo B
il primo esaspera il concetto di extracarico dato dal tiro catena (semplificazione)
il secondo e’ neutro in questi termini
sono due cinematismi diversi, che ottengono come risultato un carico diverso sul pneumatico posteriore
e, sempre semplificando, ottengono questo risultato per come sono progettati, cioè’ a seconda delle posizioni
relative tra i loro fulcri e bracci di leva verso il mono e verso il forcellone.
ora immagina che uno di questi punti di vincolo sia mobile, comandato da un servomotore (per esempio)
avremmo la cosi’ la possibilità’ che questo paramento venga gestito durante la corsa (come fanno con le mappature motore per esempio) e possa cambiare la “natura” di una moto per ottenere una prestazione migliore in quel frangente, con quella gomma e con quella condizioni.
in assenza di questo il sistema e’ rigido e non ti permette di fare nulla dopo la scelta fatta prima della partenza.
sempre seguendo questi bellissimi debriefing, la prima cosa che mi viene in mente e’ un sistema che possa modificare l’altezza di assetto anteriore o posteriore, durante la corsa e non solo ai box.
utopia oppure davvero non ci hanno ancora pensato ?
@AlexAx: Più che utopia o mancanza di ragionamento penso sia proprio l’impossibilità realizzativa per regolamento. Le sospensioni regolabili elettronicamente ci sono pure in commercio peccato che nelle gare siano irregolari.